Roma, 15 giu – Certo un titolo così accattivante non passa certo inosservato. I disertori erano personaggi odiati, traditori e fuggitivi, sbandati. Altri, però, erano personaggi caduti meno nell’in-group bias, la credenza a sovrastimare l’appartenenza ad un gruppo piuttosto che un altro, di regime e destavano il loro sguardo oltre l’apparenza.
Tutta colpa dello zio
Nacque a Triste nel febbraio del 1893 Guido Brunner, rampollo di una nobile famiglia triestina. Condusse una vita agiata e poté godere di un’ottima istruzione ma, allora, perché costui sarebbe un eroe? Perché riuscì a ribellarsi all’idea paterna. Rodolfo Brunner, infatti, era un devoto suddito dell’Impero Austro-Ungarico ed era pronto a mandare il proprio giovane figlio a combattere contro gli italiani nel caso fosse scoppiata una guerra.
Il fratello della madre di Guido Brunner, Salvatore Segrè, non era della stessa idea. Lui che, nel 1924 diverrà senatore fascista, era pienamente convinto dell’importanza della guerra contro gli austriaci per l’unificazione all’Italia di tutte le terre che, un tempo, italiane lo erano.
Brillante studente, Brunner fu costretto a lasciare gli studi alla nemica Università di Bologna e partire per la preparazione militare sui Carpazi. Da qui, però, memore delle parole dello zio, scappò e si rifugiò in Italia dove non attese un secondo ad arruolarsi.
La morte sventata
Quando iniziarono le ostilità, Guido Brunner si mise in prima linea ma la poca esperienza in ambito bellico lo fecero subito preda dei nemici che lo imprigionarono. La sentenza fu chiara: morte per fucilazione. Solo un ultimo intervento dell’imperatore gli salvò la vita. Dissuaso in ogni modo da ogni persona e da ogni personaggio, fu tutto inutile: Brunner scappò dalla sua tenuta a Forcoli e raggiunse i suoi compagni al fronte.
La sua ultima azione fu quella condotta in forza al 152° Reggimento Fanteria l’8 giugno 1916. In suo onore gli venne concessa la medaglia d’oro al valor militare: “Comandante di plotone, nella difficile contrastatissima difesa di Monte Fior, conscio della suprema importanza del momento, resistette, impavido, nella linea del fuoco per dodici ore, dirigendo ed animando col suo entusiasmo il proprio reparto ed altri rimasti senza ufficiali, accorrendo ove maggiore era il pericolo, sempre audace, sereno, instancabile, finché colpito al cuore, cadde gridando: “Qui si vince o si muore! Viva l’Italia”.
Tommaso Lunardi