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Eroi dimenticati: Mario Tadini, l'aviere che morì invocando "l'Italia vittoriosa"

by Chiara Soldani
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Roma, 9 ott – “Il camerata non è un compagno d’arme o di partito, ma un fratello di sangue, di cui si ha piena fiducia. Il più grande atto di fiducia che un uomo può fare è affidare la propria vita ad un’altra persona. Ebbene un camerata guarda alla vita dell’altro camerata come fosse la sua, e viceversa”. Nelle sempre splendide parole di Leon Degrelle, ben si delinea la storia di Mario Tadini. Una vita virtuosa, una morte da eroe. Natio di Castano Primo (provincia di Milano), Tadini apparteneva al fascio giovanile di combattimento della sua stessa città. Figlio di Giacomo Tadini e Antonietta Brambilla, venne alla luce il 9 ottobre 1914. Aviere scelto motorista, si arruolò in Aeronautica per poi partire (volontario, in Africa) con una squadriglia Caproni 133 da bombardamento.
Tadini si distinse subito: al punto di essere acclamato, per abilità e merito, da colleghi e superiori tutti. Prestò servizio all’aeroporto di Asmara, prima e a quello di Macallè, poi. Pure l’affetto, oltre alla stima: il Tadini fu sempre esempio da seguire. Per un mese ricoverato all’ospedale di Asmara, per una ferita all’occhio, subito partì per sostituire un collega. Obiettivo: azione di bombardamento su Quoram. Il suo trimotore fu però colpito per due volte da un’artiglieria nemica. Tutti rimasero feriti, lui molto gravemente. Oltre al proiettile, ben 78 furono le schegge che ne dilaniarono la coscia, colpendo basso ventre e spalla. Enorme, la perdita di sangue: oltre al lancinante dolore. Ciononostante, pur di tamponare le falle causate dai proiettili (nei serbatoi), si strappò di dosso la combinazione di volo. Senza abbandonare la propria postazione, mai mancò nell’incitare (ad oltranza) i cari colleghi, nel difficile momento.
Una condotta valorosa, encomiabile: la stessa che permise all’apparecchio di tornare alla base. “Solamente ho fatto il mio dovere”, deve aver detto il prode Tadini: ancora cosciente, poco prima di morire. Dopo dieci ore, difatti perì: sempre nella piena lucidità, pregando porse il suo ultimo saluto al padre e fratello combattenti e ai suoi cari tutti. Inneggiando alla vittoria finale, alla Patria, al Re e al Duce. Ciò accadde a Quoram: il 18 marzo del 1936. Il 31 maggio, invece, tra le mani di una addolorata e fiera madre, venne consegnata la medaglia d’oro al valore aeronautico. Lieto di aver offerto in olocausto la propria vita per l’amata Italia, la salma di Tadini tornò poi nella natia città. Profondo e sentito, fu il sentimento di patriottica riconoscenza che lo accolse. A Castano Primo, venne poi intitolata una via: nel ricordo, in suo onore. “Un eroe è un normale essere umano che fa la migliore delle cose nella peggiore delle circostanze”, diceva Joseph Campbell. Ed ecco, chi è stato il Tadini Mario: un autentico eroe.
Chiara Soldani

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