Roma, 21 lug – Non solo Silvio Pellico e il suo “Le mie prigioni”: assieme al patriota di Saluzzo, altri hanno patito tra le mura del carcere austriaco dello Spielberg. E’ il caso di Antonio Solera, abile uomo di legge famoso in tutto il nord Italia del primo ‘800.
GIUDICE A FERRARA E AVVICINAMENTO ALLA CARBONERIA
Antonio Solera nacque nel 1786 a Milano. Suo padre altro non era che Giuseppe Solera, famoso magistrato milanese diventato celebre per aver appoggiato l’ascesa napoleonica presso la Consulta di Lione, un’assemblea generale tra Napoleone Bonaparte e i rappresentanti della Repubblica Cisalpina. Come il padre, anche Antonio scalò i gradini del rango giudiziario nel Regno d’Italia preunitario. Dopo essersi laureato in legge all’università di Pavia, nel 1810 lo troviamo come giudice presso la Corte di Giustizia di Ferrara. Un ducato, quello di Ferrara, molto travagliato; deluso dall’amministrazione napoleonica, il governo della cittadella non voleva il ritorno dell’ingerenza papale (alla quale verrà sottoposto dopo il 1815). Ferrara venne ridimensionata territorialmente e controllata economicamente e militarmente, ciò causò una rapida crescita del malcontento non solo tra la popolazione ma anche tra gli avvocati, i militari e i dirigenti politici. Ciò permise la nascita di moti rivoluzionari di stampo carbonaro in tutto il paese. Molto probabilmente già da questo momento Antonio Solera aveva trovato un forte appiglio nella cultura e nel programma rivoluzionario carbonaro.
L’INCARCERAZIONE
Per cinque anni, fino al 1815, Solera svolse anche il mestiere di avvocato sempre a Ferrara per poi ritornare a Milano e venir destinato come pretore a Lovere. Nel 1815 sempre, Antonio aveva sposato Marianna Borni dalla quale ebbe un figlio, Temistocle, famoso in tutto il mondo per essere l’autore del libretto del Nabucco verdiano.
Antonio Solera continuò, anche nel Lombardo – Veneto, le sue attività insurrezionali. Ufficialmente parte della Carboneria, Antonio era membro della “Guelfia”, la parte più giacobina e rivoluzionaria della fazione. L’obiettivo era solo uno “liberare l’Italia dall’invasore”, poco importava fosse francese o austriaco. Nel 1820, però, le attività sovversive del gruppo vennero scoperte. Solera e i suoi compagni di Fratta Polesine (RO) vennero catturati dalla polizia segreta austriaca e condannati alla pena di morte per alto tradimento alla corona asburgica. Un famoso carbonaro imprigionato assieme a Solera, Piero Maroncelli, affermò che il milanese usò tutta la sua ars dicendi per tentare di difendere e scagionare i compagni in una prova di coraggio degna di un patriota. La pena di morte venne commutata in vent’anni di reclusione alla fortezza dello Spielberg. Qui Solera vi rimase 8 anni e vi vide morire il compagno Antonio Orboni, ricordato dal Pellico per la sua forte fede cattolica. Il vescovo di Brescia e il fratello di Antonio, Rinaldo, chiesero più volte la grazia presso la corona d’Austria e, alla fine, Solera poté uscire dal carcere 12 anni prima lo sconto totale della pena. Il patriota, ritornato in Italia, dovette subire le accuse e le umiliazioni di un compagno di cella francese, Alexandre Andryane, che lo accusò di essere una spia austriaca anche se alla fine le accuse erano del tutto infondate.
L’avvocato di Milano morirà il 15 luglio 1848 mentre in tutta Italia infuriavano i moti rivoluzionari del nostro Risorgimento.
Tommaso Lunardi
Eroi dimenticati: il pretore dello Spielberg, Antonio Solera
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