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Evola 120 / Massimo Scaligero e il “Buddha” nelle tempeste della modernità

by La Redazione
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Roma, 19 mag – «Bussai alla porta del penultimo piano di Corso Vittorio 197 e mi aprì un personaggio giovanile, alto, longilineo, indubbiamente più annoso di me: il suo sguardo era tra buddhico e olimpico, il suo portamento calmissimo». Era Evola, nel ricordo di lui che evocò Massimo Scaligero nel volume collettivo Testimonianze su Evola che celebrava il compimento del suo 75esimo anno. Scaligero era stato discepolo di Evola e i suoi primi scritti avevano un’impronta marcatamente evoliana. Successivamente trovò la sua strada seguendo Giovanni Colazza, che in verità fu caro amico di Evola e figura preminente all’interno del Gruppo di Ur.
Scaligero testimonierà in seguito che in Evola aveva scorto una manifestazione della forza primordiale del pensiero: questa forza faceva sì che egli creasse la sua opera come «un’opera d’arte organica sfolgorante». In effetti è proprio questa l’impressione che si ricava da Rivolta contro il mondo moderno: chi volesse farne le pulci verificando una per una le citazioni e i passaggi documentari perderebbe di vista il fatto che Rivolta è a suo modo un grandioso poema epico, uno dei pochi che la modernità occidentale abbia potuto conoscere. Il poema del tramonto di un antico Sole della civiltà, il poema del coraggio di vivere nelle brume dell’età del ferro, che è l’età del valore individuale e del vivere senza il supporto di tradizioni. Aggiungerei anche il poema della fiducia di una risalita, dal momento che il Sole è quel Dio che muore-e-risorge.
Davvero penetranti sono le considerazioni che Scaligero fa riguardo alla «equazione personale» di Evola: una equazione personale a sette incognite per un «ingegnere dello spirito» che per spirito antiborghese rifiutò la laurea. Scrive Scaligero: «Rimane l’enigma della personalità interiore di Evola e del suo rapporto con la Tradizione. In verità la forma tradizionale non riesce a dissimulare la potente spinta anti-tradizionale del suo sistema di pensiero: se si osserva, Evola si serve dell’elemento tradizionale per costruire il proprio cosmo spirituale: assolutamente personale… Guénon è nella Tradizione, Evola ne esce di continuo, pur appellandosi ad essa… Dall’idealismo magico novalisiano al tantrismo, dalla formulazione nietzschiana del grande veicolo alla interpretazione pagana dell’alchimia e del Graal, alle simpatie che comprendono Michaelstaedter e Meyrink, Nietzsche e Kremmerz e Crowley è evidente l’imperiosa autorità di un pensiero che fa obbedire tutto a un’intima personale visione, a un’individuale, determinata volontà di potenza». Il fatto è che Evola è un ultra-moderno, nel senso della più ferrea e avvincente modernità, e sperimenta a pieno le parole che Merlino rivolge ad Artù nella scena finale dell’Excalibur di Boorman: «Non posso dirti niente, i miei giorni sono finiti. Gli dèi sono andati per sempre. È il tempo degli uomini: il tuo tempo. Questo è il momento che devi finalmente affrontare: essere re e solo».
«Guénon è nella Tradizione, Evola ne esce di continuo». E infatti Julius Evola scrive quello straordinario «manuale stoico per la modernità» – riprendo la definizione del mio indimenticato maestro di filosofia Piero Di Vona – che è Cavalcare la Tigre: in cui il Divino viene colto in individuale avventura anche tra i grattacieli di vetro e cemento armato; anche on the road come i primi beat; non certo in una trappa di pii fraticelli, o peggio ancora stesi a bocconi in mezzo ai salafiti. Evola sperimenta a suo modo l’esigenza dell’anima cosciente di aprirsi una via individuale allo spirito, nell’epoca in cui «Pan e morto» e gli antichi oracoli sono silenti. Questa via hanno seguito, in una differenziata unità, spiriti come Massimo Scaligero, Ernest Jünger e Julius Evola.
Alfonso Piscitelli

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