Roma, 1 feb – Nel 1927 viene istituito il primo servizio telefonico transatlantico, l’Urss inizia la costruzione della sua più grande centrale idroelettrica, Charles Lindbergh compie il primo volo in solitaria sull’Atlantico e Werner Heisenberg formula il principio di indeterminazione. Nello stesso anno, un francese 41enne, con all’attivo studi di matematica e filosofia, marchia a fuoco la modernità come uno stato di anormalità permanente, una ributtante eccezione storica, un grossolano errore dello spirito, seppur errore metafisicamente necessario. La crise du monde moderne, di René Guénon, esce per i tipi di Bossard, al prezzo di 15 franchi, carica di un’inattualità che è il suo fascino e il suo problema. Julius Evola, che con l’autore sta battagliando da due anni, ne è folgorato, tanto da ispirarvisi esplicitamente per la sua opera più famosa, che uscirà dopo qualche anno, chiamando però stavolta a una Rivolta contro quella stessa modernità la cui crisi il francese si limitava a constatare, lasciando alla ciclicità della storia il compito di qualsivoglia superamento.
Sarà solo a dieci anni esatti dall’edizione originale che comparirà, presso Hoepli, la traduzione italiana del saggio guénoniano. Sponsor e traduttore il solito Evola, che vedeva nell’Italia fascista l’ambiente ideale per una più profonda ricezione delle idee contenute ne La crisi del mondo moderno. Era più un programma di intervento metapolitico che una speranza innocente. Su questa traduzione evoliana sorgerà poi un eterno dibattito, alimentato soprattutto dalle litigiose micro-sette della posterità tradizionalista. Evola traduttore-traditore? Di questa accusa fa giustizia la nuova edizione del libro di Guénon per le Edizioni Mediterranee (pp. 256, € 14,50), arricchita da un vasto apparato critico curato da Gianfranco De Turris, con contribuiti di Giovanni Sessa, Alberto Ventura e Andrea Scarabelli.
Proprio quest’ultimo si è impegnato in un complesso compito di confronto fra la prima e la seconda edizione francese (del 1946), fra le tre edizioni italiane (1937, 1953, 1972), e fra edizione francese e traduzione italiana. Il responso è che comunque l’operazione evoliana – indubbiamente disinvolta – non falsificò o politicizzò nulla. Né, in ogni caso, Guénon avrà mai da lamentarsi di una traduzione a cui riconoscerà anzi il crisma dell’ufficialità. Identica, fra i due, era la distanza dalla “età oscura” delle antiche profezie, che entrambi vedevano compiersi all’ombra del progresso occidentale. Ma Evola evocava anche eroi che, portando il sole nel cuore, rendessero possibile in ogni momento un nuovo manifestarsi dell’origine. Guénon ci credeva talmente poco che, nel frattempo, era salpato per l’Egitto col nome iniziatico di Abdel Wahid Yahia. Non farà mai più ritorno.
Adriano Scianca
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è tornato ora sul barcone…