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“Evola, sono tuo padre”. Firmato: Nietzsche

by Adriano Scianca
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Roma, 1 ago – È appena uscito in libreria, per i tipi del Borghese e a cura della Fondazione Evola, Oltre il superuomo, una raccolta di tutti i testi del pensatore tradizionalista su Friedrich Nietzsche. Arricchito da una prefazione di Giovanni Perez e da una postfazione di Giovanni Sessa, il volume raccoglie testi di varia natura, scritti tra il 1925 e il 1974, testimonianza di un confronto costante e serrato con la filosofia del solitario di Sils Maria. La posizione evoliana rispetto al nietzscheanesimo vi emerge in modo chiaro, anche per la ripetitività di molti degli argomenti critici di Evola, anche a distanza di molti anni.

Fa eccezione il primo, folgorante testo: Par delà Nietzsche, conferenza tenuta da Evola nel 1925 e che, anche solo per lo stile, spicca in tutta la produzione evoliana per potenza, suggestione e limpidezza, oltre che, nei contenuti, per un’adesione quasi totale alle tesi dell’autore tedesco. Già pochi anni dopo, tuttavia, subentrerà in Evola un cambiamento filosofico fondamentale, che lo porterà a formulare un sistema metafisico ricentrato sulla trimurti Guénon (da cui trarrà l’opposizione tra mondo della Tradizione e mondo moderno) Bachofen (da cui trarrà le categorie metastoriche principali) e Wirth (da cui trarrà l’ipotesi dell’origine iperborea). E Nietzsche? Rimarrà un interlocutore costante, ma sempre più defilato rispetto al fulcro dei nuovi interessi evoliani. Emergeranno anche numerosi accenti critici, talvolta declinati in maniera francamente superficiale.

È il caso del secondo articolo raccolto nel volume, uscito sul Regime fascista nel 1934, e che testimonia forse una crisi di rigetto dei temi nietzscheani, con l’autore dello Zarathustra liquidato sbrigativamente come confuso irrazionalista e torbido vitalista. Le stesse critiche riemergeranno più avanti, ma con toni meno ingrati. Nietzsche, è la tesi di Evola, “è stato l’evocatore di una forza troppo intensa per la sua umanità”. Il filosofo tedesco, infatti, è stato il primo a sapersi portare oltre il punto zero dei valori della decadenza occidentale, ma poi “non è stato portato a percepire la ‘trascendenza’ agente in lui, o a riconoscerla e a assumerla come tale nel suo ideale”. La parole chiave è appunto “trascendenza”, la “forza dall’alto” che, come noto, in Evola anima tutte le civiltà, ma anche tutte le esistenze individuali, “in ordine”, e che Nietzsche avrebbe solo presentito, senza riuscire a evocarla o a tematizzarla filosoficamente.

Può esistere, del resto, “trascendenza” nel mondo in cui “Dio è morto”? Se stessimo parlando di altri autori del tradizionalismo integrale, come Guénon o Schuon, potremmo facilmente concludere che le due dimensioni si auto-escludono l’un l’altra. Questi pensatori vivono in un mondo in cui il sacro ancora, naturalmente, “è”. Si è ritirato, certo, come in una bassa marea spirituale, ma esso resta incardinato in religioni viventi e in strutture iniziatiche tuttora operanti. La Tradizione cede il passo alla modernità, ma resta comunque vitali in centri legittimi, sia pur sempre più isolati. Per i tradizionalisti, insomma, Dio non è affatto morto. Per Evola, tuttavia, le cose non stanno così, ed è questo il motivo per cui egli resterà sempre, anche oltre la propria personale percezione, all’interno della “predicazione nietzscheana”. L’uomo evoliano è già da sempre nel deserto. Egli non ha una religione a cui attaccarsi, non ha una via d’uscita iniziatica nell’islam (come Guénon) o nella massoneria (come Reghini). Non ha, a ben vedere, nemmeno un Dio. La trascendenza evoliana è in realtà soprattutto uno sforzo di autotrascendimento, che, certo, a un certo punto accede a una dimensione superiore e determina un cambiamento di polarità, ma si tratta comunque di un percorso esistenziale, non religioso. Non è un caso se Evola ha dedicato libri a religioni non teistiche e di autorealizzazione, come tantrismo e buddismo (sul quale Guénon aveva non a caso forti riserve), e non all’islam o all’induismo, tradizioni con una struttura teologica molto ben delineata. Nella Dottrina del risveglio viene chiaramente detto che il Buddha è superiore agli stessi Dèi. In Cavalcare la tigre, il il più nietzscheano dei testi evoliani, si invita l’uomo differenziato a “percepire in sé la dimensione della trascendenza e ancorarvisi” in modo tale che “negare o mettere in dubbio Dio sarebbe come negare o mettere in dubbio se stessi”.

Ha avuto quindi perfettamente ragione Marcello Veneziani, quando ha parlato, a proposito di Evola, di una “tradizione senza tradere”, in quanto “una concezione tradizionale che opponga a Dio una trascendenza acefala, alla Patria l’appartenenza ad una stessa ‘Idea’, alla Famiglia un insorgente individualismo sovrumanista, alimenta sospetti simmetrici quanto alla sua autenticità”, poiché dietro di essa “vi è sempre l’ombra insorgente del nichilismo”. A prescindere dal fatto che in ciò si ravveda un limite (come sembra credere Veneziani), oppure un motivo di ancora maggiore interesse e profondità epocale (come pensa chi scrive), la questione è ben centrata: la Tradizione, in Evola, resta una forza evocata tragicamente ed eroicamente da un singolo alla ricerca del proprio centro nel mondo in cui Dio è morto, non un qualcosa di dato, di esistente di per sé. Non una forza “dall’alto”, come Evola amava dire, ma verso l’alto. Ed è per questo che Evola resta, prepotentemente e costantemente, un figlio di Nietzsche.

Adriano Scianca

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