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“Ferrari”: un bravissimo Adam Driver in un film bello, ma incompleto: ecco perché

by La Redazione
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Ferrari film 2023

Roma, 13 gen – Ritratto in piedi del “Drake”, l’ingegner Enzo Ferrari, in uno dei momenti più complicati della sua travagliata vita, il 1957. Afflitto dalla perdita, un anno prima, del figlio Alfredo Dino (morto appena ventiquattrenne di distrofia, e omonimo d’uno zio caduto nella Grande Guerra), e detestato dalla madre Adalgisa, si divide tra Lina (l’amante da cui ha avuto alla fine della Seconda Guerra un figlio, Piero) e Laura (la moglie), mentre prepara la sua scuderia automobilistica, in gravissime difficoltà economiche, alla Mille Miglia, la celeberrima corsa Brescia-Roma-Brescia: da vincere, nonostante l’agguerrita concorrenza della Maserati, per attirare grandi investitori. Perde un pilota già durante i collaudi, ma il peggio deve ancora arrivare.

Enzo Ferrari, il corsaro

Scortese, manipolatore, dissennato: Ferrari è il ritratto eroico e impietoso d’una delle figure più leggendarie e affascinanti del Novecento italiano. Punta un po’ troppo – come l’altro grande “biopic” uscito in questa stagione, Napoleon di Ridley Scott – sulle vicende sentimentali, e ci si chiede quanto opportunamente: di Ferrari si dice che fosse quasi anaffettivo (le sole due figure, oltre al figlio Piero Lardi, che sembra abbia amato – Dino e il pilota canadese Gilles Villeneuve – con le loro morti premature lo avrebbero spinto a chiudersi ancor più); era comunque uno di quei grandi uomini completamente dediti a una passione divorante, a una grande visione, a un progetto. Ammiratissimo dopo defunto, Ferrari da vivo fu criticato ferocemente, rappresentato come un cinico e spietato manovratore di uomini, mandati allo sbaraglio (partecipare alle corse automobilistiche dell’epoca corrispondeva a tentare il suicidio): paragonato, come si dice nel film, a Saturno che divora i suoi figli, gli si rimproverava di invecchiare (si è spento nella sua Modena a 90 anni e mezzo, nell’agosto 1988 – nel maggio 1982, Villeneuve era morto trentaduenne) a differenza di troppi suoi piloti.

Michael Mann alla guida

Dodicesimo film (in quarantadue anni) per l’ottantenne Michael Mann, già produttore del telefilm Miami Vice (ne ha poi tratto il suo film peggiore), regista poco prolifico (Ferrari è il suo terzo film in quattordici anni) ma riconosciuto maestro del cinema d’azione (i dieci minuti e mezzo d’inseguimento – a piedi – tra i poliziotti del tenente Hanna/Pacino e la banda di McCauley/De Niro nella Los Angeles grigio antrace di Heat – La sfida sono uno spettacolo tuttora insuperato): si dedica a un progetto soltanto se ci crede.

Ferrari è un film fatto col cuore, e si vede. Soprattutto nelle prime scene, che raffigurano una Modena anni ’50 vivace, un po’ stereotipata ma graziosa (particolarmente simpatico il battibecco tra Ferrari e il presidente del Modena Football Club); dopo di che il film perde tono (e anche nella raffigurazione dell’Italia di allora prevalgono i luoghi comuni: le donne stanno sempre in cucina a preparare i tortellini, gli uomini sono tutti mori e fradici di brillantina, si prega e si sta a tavola). I dialoghi con la moglie sono spesso imbarazzanti (tralasciando una scena erotica brutta e fuori luogo), e la solita brutta performance della scollacciata e sopravvalutata Penelope Cruz (nell’ennesimo ruolo di donna mediterranea verace, energica e passionale che mette tutti in riga) non aiuta. Peggio di lei, nel non proprio stellare cast, soltanto Patrick Dempsey (attore belloccio noto come il dottor Shepherd nel pessimo telefilm Grey’s Anatomy) nel ruolo di Piero Taruffi, pilota esperto che con la Mille Miglia del ’57 scelse di chiudere la sua carriera; si difende bene invece il napoletano Lino Musella (già protagonista per Pupi Avati di Lei mi parla ancora), confinato il ruolo di Sergio Scaglietti, meccanico di fiducia di Ferrari. Sul film spadroneggia Adam Driver, non soltanto perché, alto e robusto come il Drake (e con la pancia imbottita), giganteggia sui comprimari in scena. Espressivo, intenso, credibile.

Un film quasi-evento

Ennesimo film del 2023 presentato come “film evento” (dopo l’imbecille Everything, Everywhere, All At Once, il poco riuscito Barbie, poi Oppenheimer, il criticatissimo Napoleon…), Ferrari lascia un’impressione di incompletezza. Si poteva fare di più? La scelta di limitare a un preciso momento il film su di un personaggio dalla vita lunga e ricca non è sbagliata, anzi. Si poteva fare di meglio? Ferrari è un film di buona fattura (nonostante tante sbavature – ridicola la telefonata di Gianni Agnelli): le scene di corsa sono tutte molto belle (il momento migliore però è la “messa degli operai”, con gli ingegneri che cronometrano le prove dei rivali): ma è anche un film irrisolto, una bella occasione sprecata, nonostante un grande protagonista interpretato dall’ottimo Driver.

Tommaso de Brabant

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