Se la fantascienza – parafrasando Carrère e citando Boucher – consiste nel porsi la domanda: “E se?”, allora è proprio lì che dobbiamo rivolgere lo sguardo. A guardar bene infatti c’è una pellicola che più delle altre ha analizzato il tema. E non parliamo di un vago e misconosciuto b-movie, ma di una pietra miliare del genere: Alien di Ridley Scott. A trent’anni dalla sua uscita, Alien continua a suscitare tra gli esperti di cinema e psicologia un acceso dibattito sulle possibili interpretazioni. Quasi tutte tendono comunque a concordare sul carattere prettamente femminista del film: si pone infatti l’accento sulla chiara assenza, nei personaggi, di una distinzione tradizionale basata sui generi, e sulla potenza – visiva e non – della protagonista indiscussa, la splendida ed indimenticabile Sigourney Weaver. Grattando bene sotto la superficie però emergerebbe qualcosa di nuovo e terrificante. Riguardiamo qualche fotogramma.
Cambio di scena: l’equipaggio pranza amabilmente intorno al tavolo come una famiglia felice. Tutti figli di Mater (Mater è il nome del computer di bordo della Nostromo, ndr). Un vociare confuso, finché – in un impeto di coraggio “classista” – i due meccanici lamentano la disparità della paga: “Tutti gli altri” dicono “prendono più di noi”. Quel “tutti” ovviamente comprende Ripley e Lambert (le due donne a bordo, ndr). La paga degli uomini, nel mondo di Mater, è uguale a quella delle donne. Tutti lavorano insieme, in simili ruoli, in un’equa distribuzione del lavoro. Non esiste differenza di genere, solo di classe sociale. Siamo noi a poter riconoscere Ripley come una donna e Kane come un uomo, ma Mater non può. I personaggi non hanno neppure nomi propri, soltanto cognomi asessuati. Un idillio, penserà qualcuno/a. Ciò che sin qui però è stato presentato come egualitarismo di genere, diventerà ben presto confusione e orrore:
Certo, alla fine sarà soltanto la prontezza ed il coraggio di Ripley a risolvere la situazione, ma all’epoca delle riprese non si trattò di porgere il fianco a tendenze femministe, quanto ad esigenze di copione. Dal canto nostro, la Weaver più che immaginarla come una Femen ante litteram – pronta solo a dar scalpore urlando di presunti diritti in assenza di doveri – ci piace immaginarla come una moderna Caterina Sforza che, citando la poetessa futurista Valentine de Saint-Point dal suo Manifesto della Donna Futurista: “mentre sosteneva l’assedio della sua città, vedendo dall’alto delle mura il nemico minacciare la vita di suo figlio per obbligarla ad arrendersi, mostrando eroicamente il proprio sesso, gridò:‘Ammazzatelo pure! Mi rimane lo stampo per farne degli altri!’”.
Davide Trovato