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Francesco: il pontificato più contraddittorio di sempre

by Sergio Filacchioni
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Roma, 21 apr – La morte di Papa Francesco segna la fine di un pontificato che ha diviso, commosso e spiazzato. Jorge Mario Bergoglio, primo Papa gesuita e primo pontefice latinoamericano, è stato – al di là della retorica agiografica che ora inevitabilmente circolerà – una figura ambigua, persino contraddittoria. Un uomo capace di parlare la lingua del progressismo più radicale e, allo stesso tempo, di aggrapparsi a colonne portanti del tradizionalismo cattolico.

Francesco, il Papa delle aperture

Papa Francesco è stato, per molti, il simbolo della “Chiesa in uscita”, quella che abbandona i palazzi del potere per farsi “ospedale da campo”, immersa nelle contraddizioni del mondo moderno. La sua attenzione ai migranti, ai poveri, agli “ultimi” è stata il tratto distintivo di un magistero improntato a un umanesimo sociale spesso più vicino alla sinistra laica che alla dottrina cattolica. Ha criticato apertamente i muri, le politiche sovraniste, la “globalizzazione dell’indifferenza”, attirandosi consensi fuori dalla Chiesa e critiche da parte di ampi settori del mondo cattolico. Sull’ambiente, sulla pena di morte, sull’omosessualità e persino sull’aborto – terreno tradizionalmente inviolabile per Roma – Francesco ha scelto un linguaggio più morbido, ambiguo, talvolta volutamente evasivo. Ha parlato di “accoglienza”, di “comprensione”, ha usato il famoso “Chi sono io per giudicare?”, che per molti ha segnato una cesura storica con il passato.

Il Papa che non ha cambiato nulla

Eppure, al netto delle parole e delle interviste, Francesco non ha modificato in modo strutturale la dottrina della Chiesa. L’aborto è rimasto un “crimine orrendo”, la famiglia naturale è stata ribadita come unico modello possibile, e l’ordinazione femminile è stata esclusa con decisione. I cambiamenti più attesi – dal celibato dei preti al riconoscimento delle unioni omosessuali – non sono mai arrivati, lasciando molti dei suoi estimatori delusi. Nel contrasto con la Curia romana, nei silenzi imbarazzanti su alcuni scandali, e nella prudenza con cui ha trattato dossier spinosi come quello cinese, Francesco ha mostrato un volto conservatore, rassicurante e spesso tradizionalista, che contraddiceva la narrazione mediatica del “Papa rivoluzionario”.

Il paradosso di Francesco

Papa Francesco ha incarnato un paradosso: è stato il Papa dei tweet virali e dei gesti teatrali, ma anche il custode geloso di una dottrina millenaria. Ha fatto innamorare i non credenti e allontanato molti credenti. Ha parlato al mondo, ma spesso non ha saputo parlare alla sua Chiesa. Alla sua morte, lascia una Chiesa spaccata, un clero confuso e un’eredità ancora tutta da decifrare. Forse, il vero volto di Papa Francesco era proprio questa tensione permanente tra ambizioni di riforma e spirito di conservazione. Un pontefice che voleva costruire ponti, ma che ha finito per lasciare più fratture che altro.

Una Chiesa senza Papa, una sinistra senza profeta

Con la morte di Papa Francesco non piange solo il mondo cattolico. Piange soprattutto una certa sinistra globale, che in Bergoglio aveva trovato – dopo anni di afasia ideologica – una figura carismatica, morale, quasi profetica. In un’epoca in cui le bandiere rosse sono sbiadite e i riferimenti culturali evaporati, Francesco era diventato il punto di riferimento di un progressismo che, abbandonata la lotta di classe, si era rifugiato nelle battaglie etiche, ambientali, migratorie. Non era più Marx il profeta della sinistra, ma il Papa. Un gesuita argentino che parlava di clima, inclusione e redistribuzione con la forza di un’autorità spirituale mondiale. Era lui a dettare l’agenda sui migranti, sulle disuguaglianze, sul capitalismo “che uccide”. Ed era lui a offrire a un pensiero debole e disorientato il conforto di una Chiesa che sembrava essersi convertita al verbo delle ONG. Ora quel Papa non c’è più. E se per i cattolici si apre il tempo della sede vacante, per la sinistra si apre un vuoto ancora più drammatico: quello di un’identità che si reggeva su parole altrui. Non resta che chiedersi: chi parlerà ora per loro?

Sergio Filacchioni

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