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Giuseppe Valditara: il “pensiero debole” al Ministero dell’Istruzione

by Sergio Filacchioni
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Pensiero debole

Roma, 28 settembre – “Né rossi né neri ma liberi pensieri“: cantava così la generazione della contestazione che nel 2008 portò migliaia di studenti nelle piazze per manifestare contro la Riforma Gelmini. Vent’anni dopo, quel canto di leggerezza che voleva riportare la “tensione politica dentro le scuole” in maniera più libera e scanzonata possiamo dire che è stato completamente disatteso nelle speranze degli studenti che nonostante tutto hanno continuato a lottare: la scuola, infatti, ha subito un vero e proprio “cambiamento climatico”, passando da un campo d’idee ad un tedioso e deboluccio grigiore burocratico.

Pensiero debole

Quest’articolo non vuole essere un’operazione nostalgia, ma la spietata analisi di un ennesimo passaggio della scuola sotto le insegne del “pensiero debole”, incarnato dal Ministro Giuseppe Valditara. Se infatti durante l’estate avevamo assistito a diversi passaggi “sospetti” del dicastero, dal rinnovo del CCNL dei docenti con il riconoscimento delle carriere alias, per arrivare alla spiazzante presa di posizione per il rinnovo del protocollo d’intesa tra Miur ed Anpi, un ennesimo caso ci fa confermare l’impressione che abbiamo sempre avuto: la destra vuole una scuola globalizzata e precarizzante esattamente come l’agenda progressista. In occasione del lancio di un nuovo progetto contro la violenza sulle donne, il Ministro ha affermato – dopo i soliti panegirici retorici ed intrisi di auto-colpevolizzazione sulla cultura del rispetto e la necessità di sedute di autoriflessione studentesca – che la sua scuola, la “scuola costituzionale”, è “una scuola che mette al centro la persona dello studente mutuando lo spirito della Carta e che ha rovesciato l’impostazione fascista che metteva la persona al servizio dello Stato“. Parole che oltre alla solita retorica antifascista tracciano una differenza sostanziale – diremo abissale – tra noi che coltiviamo un’idea di Res Publica che affonda le sue radici in un pensiero che da Roma arriva a Gentile passando per Dante e Mazzini, e “loro”: questo strano “governo dei patrioti” che non è né carne né pesce, né rosso né nero… ma debole pensiero.

Rovesciare l’impostazione fascista

Cosa sarebbe questa “scuola costituzionale”? Il simbolo di un feticcio: quello che vede nella Costituzione mai uno strumento operativo e pragmatico – quindi anche soggetto ad una necessaria fluidità – quanto come un’ente morale al quale rifarsi come una dogma biblico. Una scuola quindi dove gli studenti devono vivere come in un centro di rieducazione – perchè come possono loro essere adatti ad un documento di 80 anni fa? Non è la Costituzione che deve adeguarsi a loro, a le loro esigenze sociali e politiche, ma loro devono conformarsi a dei dettati lontani e puramente “di principio”. Quindi lo studente va rieducato, sempre, scontando non si sa quale “peccato originale” legato al sesso (nel caso dei programmi sulla violenza di genere) ma mai educati. Poi lo studente viene individualizzato: deve essere separato da ogni idea di comunità – loro preferiscono il termine branco – tanto odiata dal mainstream ed osteggiata dalla politica istituzionale. Insomma, in questa scuola costituzionale ogni “noi” è male. Valditara dice di voler mettere al centro la “persona”. Nella storia mai termine fu più generico per qualificare un individuo: si è passati dall’oplite greco al cittadino romano, per arrivare dopo secoli alla “persona”. Un termine neutro che non qualifica nessun progetto dietro le apparenze: nessuna personalità giuridica, sociale o nazionale. La persona altro non è che un oggetto costruito a tavolino rieducato alle varie culture (leggere in inglese) del pensiero dominante antifascista. Persona è un individuo asessuato, deresponsabilizzato, fuori dal tempo e dalla storia.

Identificarsi in un “noi”

Quale sarebbe quindi una “scuola fascista”? Proviamo ad identificarla di riflesso: una scuola al “servizio dello Stato?”. Sì. Dove Stato non è l’apparato burocratico ed amministrativo – non solo – quanto l’espressione di una volontà e di un progetto comunitario: un “io” che sublima in “noi”, per usare una nota espressione di Giovanni Gentile. All’individuo astratto, il non-cittadino – come fa un individuo così formato a percepire le sue responsabilità rispetto alla Repubblica? – e indebolito da questa scuola “rieducativa” il Fascismo quindi opporrebbe una visione di uomo/donna integrale, non solo espressione economica ma totale: popolare, sociale, associazionistica, comunitaria, solidale, nazionale ed eroica. “Per noi – scriveva Mazzini – lo scopo è l’umanità, ma il fulcro è la Patria” e continuava: “Non sono gli individui che devono firmare il nuovo patto; sono i liberi popoli, con un nome, un vessillo ed una coscienza propria”. All’individualismo Mazzini, quindi il Fascismo, contrapponeva un pensiero associazionistico, al cosmopolitismo astratto che ha contribuito a tenere l’Italia e l’Europa sotto l’occupazione straniera un’umanità costituita da libere patrie. Patrie che non sono semplici agglomerati urbani, culturali e linguistici – figuriamoci apparati costituzionali – ma un’associazione di uomini stretti insieme dal “compito che è stato loro assegnato nella storia” che “riconoscono un medesimo principio e marciano sotto l’Impero di un diritto uniforme”.

Pensiero debole

Il problema quindi non è la sostituzione di Fascismo con Comunismo. Quanto il nulla di cui viene infarcita questa scuola dell’era post-ideologica. Il pensiero debole di questi soggetti è il peggior antifascismo perchè costruisce nella scuola una diga tra le nuove generazioni e la Patria sognata da Dante e Mazzini: una patria Italiana, quindi europea forte, coesa, non dipendente da alcuna “carta” che non sia espressione primariamente di una volontà viva. Questa è la scuola della subordinazione, della sconfitta, dell’abdicazione alla volontà, dell’abbandono di ogni progetto di grande politica che sappia divenire altro rispetto alla realtà che ci circonda; è la scuola globalizzata e precarizzante che decostruisce una tradizione millenaria di civiltà e mina quel progetto sovrumano che da Romolo arriva fino ai giorni nostri. Avremmo preferito un commissario sovietico a Viale Trastevere piuttosto che questo deboluccio funzionario della fine della storia. Quanto meno per l’agitazione.

Sergio Filacchioni

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