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“Gli anelli del potere”, un’opera che non convince nessuno

by La Redazione
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Gli anelli del potere serie mediocre

Roma, 11 set – E alla fine la montagna partorì un topolino. Così si possono riassumere i primi due episodi de Gli anelli del potere, la serie Amazon liberamente tratta dalle appendici de Il signore degli anelli, che vanta il record di serie televisiva più costosa di sempre, e che era stata annunciata in pompa magna.

“Gli anelli del potere” non convince nessuno

Un topolino che non convince né lo spettatore casual per i riferimenti non sempre immediati all’opera tolkieniana. Né l’esperto della Terra di Mezzo, perché le continue strizzate d’occhio a Il Silmarillion spesso si risolvono in momenti cringe. E topolino perché non c’è partita con l’elefante fantasy della stanza. Ovvero House of the Dragon di HBO. HBO nel definire la nuova serie prequel de Il trono di spade dopo l’imbarazzante finale si è limitata a chiedersi cosa voglia un fan del franchise. E ha saturato completamente la richiesta.

Mentre la serie Amazon si limita a un compitino fantasy. Compresi tutti i cliché di “come non fare un fantasy” negli anni Venti del Terzo millennio. Molte mappe e personaggi che si teletrasportano dal punto A al punto B senza soluzione di continuità. Elementi “fantasy” a caso. E classiche scene da “grandissimi personaggi che hanno un ruolo importantissimo che vanno a trovare principi di grandissimi regni” che si risolvono in scenette a due. Parliamo di Celebrimbor, il più grande fabbro elfico e governatore dell’Eregion che va con Elrond, araldo del grande re Gil-galad a trovare Durin, principe ed erede al trono dei Nani?

Come si risolve la scena? Elrond e Celebrimbor suonano alle porte di Kahzad Dum… «C’è Gigi? No! E la cremeria?» Come nel vecchio spot dei gelati. Alla fine Celebrimbor rimane solo e se ne va con le pive nel sacco. Insomma la grandiosità de Gli anelli del potere spesso si risolve con sequenze degne di quelle fiction italiche irrise da Boris. E nel criticare i limiti della serie si possono tralasciare sia le questioni legate sia al preciso immaginario tolkieniano e il cast inclusivo, sia quelle legate a come vengono descritti i personaggi (Galadriel che dovrebbe essere sposata con Celeborn e già madre di Celebrían all’inizio della Seconda era in cui è ambientata la serie). Anzi si può ben dire che l’”elfo nero” Arondir è forse la cosa migliore della serie. Interpretato dall’attore portoricano Ismael Cruz Córdova, (al netto di qualche dichiarazione opinabile nelle interviste) è il personaggio caratterizzato e interpretato meglio. Guardia elfica nell’area prossima all’Harad, dove gli uomini collaborarono con Sauron, dopo la smobilitazione decisa da Gil-galad, decide di indagare sugli orchi che si stanno tornando a muovere. C’è di mezzo anche l’amore, la “madre single” Bronwyn, ma per il momento è tutto gestito con misura.

La macchiettistica Galadriel

Misura che manca nella scrittura di quella che dovrebbe essere l’assoluta protagonista de Gli anelli del potere: Galadriel. Il problema non è nell’essere lontana da Tolkien, o nell’essere una “donna forte”. Il problema è che la nostra protagonista è un comandante militare ossessionato dalla vendetta: la morte del fratello Finrod ucciso da Sauron. Più vicino al Colonello Kurz di Apocalypse Now e al colonello Bligh del Bounty, che a un personaggio tolkieniano.

Basti una scena relativa alla ricerca della fortezza di Sauron tra i ghiacci. I suoi uomini sono stremati, uno cade a terra, gli altri chiedono alla comandante di fermarsi. Galadriel rifiuta dicendo di andare avanti, ma poco dopo ci ripensa e cede il suo mantello al povero sottoposto. Una scena che anziché trasmetterci la fierezza e magnanimità dell’elfa, ci descrive solo un comandante pazzo e bipolare. E bene faranno i suoi uomini ad ammutinarsi.

E l’interprete Morfydd Clarck è anche brava nel descriverci l’ossessione della protagonista. Protagonista irrisa e bullizzata fin dall’infanzia. Il prologo (sulla falsariga di Peter Jackson) inizia con Valinor, il reame beato e dimora dei Valar, mostrato come un posto con bambini elfici che saltellano e Galadriel che viene bullizzata (forse più che desiderio di vendetta, il suo è un trauma infantile per il bullismo. E per carità magari a bullizzarla erano i figli di Feanor incoraggiati da Melkor, quindi potrebbe anche essere filologicamente tolkieniano il bullismo a Valinor). Il prologo si risolve con l’ombra di Melkor-Morgoth che spegne gli alberi. Poi “mappina” e andiamo nella Terra di mezzo a far fuori Morgoth, scena di battaglia. Fine antefatto.

Valinor torna subito dopo, come spiegone fantasy di Elrond (che lavora come ghostwriter per re Gil-galad, tanto che nel reame elfico del Lindon assisteremo a una trama politico-immobiliare sulla falsariga dell’ottimo Billions, con speculazioni immobiliari elfiche per la realizzazione di un grattacielo-forgia sfruttando manodopera nanesca). E poi come scusa di Gil-galad per togliersi dalle scatole quella piantagrane di Galadriel (per fare la speculazione edilizia serve la pace e bisogna tagliare il budget della difesa evidentemente. Budget che consta di una comandante, Galadriel, e una dozzina di elfi…).

Galadriel, e i suoi elfi (che si erano appena ammutinati stile Bounty, ma è un fantasy, quindi le cose succedono e basta), per decisione di Gil-galad possono tornare a Valinor (che essendo reame dei Valar non è certo soggetto alla giurisdizione di Gil-galad). Andate a Valinor nel reame beato e toglietevi dalle scatole.

Valinor diventa una meta metafisica (le nubi che si aprono, la luce di Valinor e roba fantasy) e Galadriel rinuncia all’ultimo buttandosi in acqua. Mossa dal desiderio di vendetta (e, soprattutto, dal non voler passare il resto dell’eternità in compagnia di quelli che ti bullizzavano alle elementari elfiche).

Valinor è una bella strizzata d’occhio ai fan tolkieniani, poco comprensibile al casual (Valinor viene mostrato come luogo fisico su una mappa, e poi diventa una sorta di assunzione di Maria in cielo del tardo Seicento). Ma assolutamente incoerente con la trama della Seconda era e della stessa serie televisiva! Perché la serie tratterà della caduta di Númenor, scatenata proprio dalla flotta numeroneana che salperà per conquistare militarmente Valinor! Perché Valinor nella Seconda era è un luogo fisico! E come si fa a conquistare un luogo metafisico? Lo scopriremo nelle prossime puntate.

E non è l’unica strizzatina d’occhio a Il Silmarillion che si chiude con un momento cringe. Anche la citazione dei Silmaril e di Fëanor, il loro artefice, si chiude con Celebrimbor che spiega come Morgoth fosse quasi commosso alla loro vista e riflettesse sulla sua malvagità. Ecco se hai letto Il Silmarillion il pensiero corre a cosa farebbe Morgoth agli sceneggiatori.

Insomma, questi due momenti “citazione comprensibile solo agli esperti di Tolkien” sembrano più voler far arrabbiare i fan. Certo la confezione è sontuosa. La computer graphic di assoluto livello nei fondali. Purtroppo, però non è lo stagecraft di The Mandalorian, e spesso la regia si riduce all’effetto: gente che parla davanti a un sontuoso green screen. Bayona, regista spagnolo d’esperienza (suo l’ottimo dark fantasy Sette minuti dopo la mezzanotte) mostra le sue capacità in esterna. Ma il digitale, al netto della grandiosità è estremamente piatto (in questo il minor dettaglio House of the Dragon è paradossalmente più realistico).

I limiti della scrittura e l’involontaria comicità

Anche l’impostazione generale degli attori è assolutamente valida. Quando non funzionano è solo per colpa dello script. Sia Galadriel comandante bipolare è anche una interpretazione interessante, solo non in linea con il contenuto. Sia la regina dei nani Disa, in cui la scena a cena con Elrond e Durin IV sembra un vecchio sketch de I Jefferson: il marito scorbutico con l’ospite e la moglie che tenta di fare da paciere. Insomma, nonostante le premesse (e promesse) di inclusività le macchiette non mancano. È c’è già chi l’ha fatto notare: come gli irlandesi che non hanno gradito che il loro accento diventasse il cliché della parlata degli stereotipatissimi pelopiedi, ovvero i proto-hobbit. Ovvero gitani irlandesi. Al netto dello stereotipo, certamente sono abbastanza simpatici. Ma le due protagoniste pelopiedi sono semplicemente ricalcate sulle gag di Merry e Pipino con l’apparenza di Sam e Frodo.

E questo è uno degli altri limiti dei primi due episodi: gli elementi comici. Sì, anche ne Il signore degli anelli di Jackson c’erano molti “intermezzi comici”. Ma Jackson è diventato regista come nerd appassionato di Ėjzenštejn, Griffith (e pure la Riefenstahl), la sua è una regia che è anche capace di fare a meno degli effetti speciali, proprio perché si rifà ai classici degli albori del cinema, in cui tutto era inquadratura, luci e montaggio. Anche i dialoghi venivano dopo. Il “calo di tensione” del siparietto comico alla Jackson era su un’opera assolutamente in un crescendo di tensione.

Una strada narrativa confusa

Invece Gli anelli del potere sembra più un’opera che non sa quale filone prendere. Il revenge movie di Galadriel (ma senza la compiutezza del genere coreano)? La ricerca in solitario di Arondir, con le strizzate d’occhio a chi apprezza i videogiochi? Gli intrallazzi di Gil-galad e Celebrimbor per costruire il nuovo grattacielo presi da Billions. I simpaticissimi pelopiedi, comici e divertenti, ma che sembrano ben disposti a eutanasizzare l’invalido che non può fare il gitano (non finirà così, ma trattandosi di una serie dove vigono molti imperativi alla Boris si può fare l’iptesi). O il figliolo di Bronwyn, Theo, a cui piace giocare con una lama impregnata di magia nera col simbolo di Sauron sopra («ma con chi ti vai a mettere Arondir!»). Spada di Sauron che ci fa dar ragione al comandante di Arondir, il capo delle truppe di occupazione elfiche, che dice che quegli umani hanno Sauron nel sangue. E soprattutto che ci fa temere (visto che non sappiamo chi sia suo padre) un futuro Sauron che dica a Theo: “Perché io sono tuo padre!”.

Ricapitolando le cose buone dei primi due episodi: belle le armature dei nani; bella la computer graphic (soprattutto se usata come sfondo del desktop). Interessante Arondir. Elrond simpatico. Prologo affascinante ma meglio se non sapete cos’è Valinor. Montaggio accettabile che rende il compitino non troppo noioso.

Per il resto Gil-galad e Celebrimbor buoni per una serie sulle speculazioni immobiliari a Manhattan o a Chicago. Galadriel ottima per una serie sullo stress post-traumatico degli elfi, ma ci vorrebbe un Clint Eastwood alla regia. Durin e Disa buoni per una sit-com, ma dovrebbe scattare la sottotrama nanica di intrallazzi e scavi che porterà al Balrog visto nel trailer quindi dovrebbe migliorare. I pelopiedi, fini a sé stessi. Colui che arriva con la meteora, probabilmente un istaro, forse addirittura Gandalf, per il momento buono per i siparietti comico drammatico copiati dai Gandalf cinematografici.

Tolkien? In qualche nome di luogo e di personaggio. Personaggi vagamente tolkieniani? Arondir e, solo come stereotipo tolkieniano, i pelopiedi. E per il pubblico? Tolkieniani che hanno letto Tolkien e si ricordano qualcosa, la troveranno irritante. I Tolkieniani che hanno visto tutta la trilogia de Lo Hobbit al cinema la troveranno piacevolissima. Spettatori casual? guardatevi House of the Dragon che almeno lì i personaggi hanno delle motivazioni e il tutto ha un sapore realistico. Gli anelli del potere dei primi due episodi è solo lo stereotipo del fantasy.

Enrico Petrucci

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