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Il 25 aprile rappresenta l’agonia della sinistra

by La Redazione
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25 aprile sinistra

Roma, 28 apr – Il contesto politico contemporaneo è molto più difficile da inquadrare di quanto non fosse fino al crollo del muro di Berlino (per usare un evento simbolico): morte le ideologie, intese nei termini dei lanternoni di Pirandello, si sono accesi dei lanternini, e il dibattito politico si è trasformato da dibattito ideologico a dibattito morale vero e proprio. Sarebbe ingenuo credere che sia possibile riassumere le evoluzioni (e involuzioni) della politica italiana (ed Europea) in un articolo di giornale, così come è difficile anche soltanto riassumere il contesto attuale. Nondimeno, si possono portare alcune considerazioni.

L’agonia di un intero universo

Un dato di fatto del contesto politico post-ideologico è l’agonia protratta dei movimenti politici di sinistra. Un lettore che avesse la pazienza di ascoltare il discorso fatto da Achille Occhetto in occasione della cosiddetta svolta della bolognina, quando il Partito Comunista Italiano fu sciolto per far nascere il Partito Democratico della Sinistra, un partito di più ampie prospettive che aveva lo scopo, reale, di salvare partiti che, presi singolarmente, non sarebbero sopravvissuti, noterebbe che il discorso pronunciato da Achille Occhetto allora (eravamo nel 1989) è diventato un vero e proprio mantra della sinistra: finita la fase comunista, è necessario riorganizzare, ristrutturare, pensare a nuovi programmi, modificare gli strumenti dialogici della nuova sinistra, e così via. Lo stesso discorso ripetuto da tutti i segretari del PD, o dei suoi avi (cambia il nome, ma il partito è lo stesso), da allora in poi. Eppure, il tanto sperato cambiamento non è mai arrivato, mai si è giunti alla costruzione di un partito solido, capace di tenere testa ai partiti dell’ala di destra: la peculiarità più evidente del PD è la litigiosità e l’assenza totale di realismo e di programmi concreti. Segretari anonimi, noiosi, verbosi, che si sono susseguiti senza lasciare traccia di sé, esponenti dell’alta borghesia intellettuale europea (o presunta tale) i quali, come uomini della provvidenza, calano nel Pd, tentano di illuminarlo, e, quando si accorgono di non riuscirvi, se ne tornano da dove sono venuti (senza, naturalmente, riconoscere il loro fallimento politico). Segretari di partito trasformisti, in grado di allearsi persino coi loro avversari più feroci, pur di mantenere un ruolo istituzionale (si pensi alla coalizione che ha dato vita al governo Draghi).

La distanza dalla realtà

I partiti della sinistra hanno – e avevano già al tempo della bolognina – perso completamente il contatto con la classe popolare, quella che in inglese si chiamerebbe working class. Non sono più interessanti per gli operai, per i dipendenti pubblici e privati; e non sono interessanti perché hanno smesso di battersi per queste categorie sociali, che invece si riconoscono molto di più in partiti quali la Lega o Fratelli d’Italia. Non stupisce che, dato questo strappo con l’elettorato storico, essi abbiano dovuto ricorrere a strategie da politicanti di paese per mantenersi a galla, facendo leva, loro che pure accusano la destra di adottare tale strategia, sulla pancia e sulle emozioni più basilari dell’uomo. Come giustificare, altrimenti, la quasi totale focalizzazione sul tema dei diritti civili specialmente nell’ambito sessuale o la demonizzazione costante dell’avversario politico, si chiami egli Silvio Berlusconi, Matteo Salvini o Giorgia Meloni? Come giustificare, altrimenti, l’uso capzioso della storia italiana che fanno gli esponenti della sinistra per tracciare del tutto impossibili relazioni fra personaggi del mondo contemporaneo (Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni, ecc.) e personaggi del passato ormai remoto (Benito Mussolini, ecc.)? Giova in tal senso ricordare che lo sbandieramento scriteriato dell’antifascismo nella campagna politica non è cosa dell’ultimo decennio; si ricordi che già nel 1994, al tempo del primo governo Berlusconi, in occasione del quarantanovesimo anniversario del 25 aprile, in piazza a Milano andò in scena una manifestazione in cui si incitava a ribellarsi al nuovo fascismo, rappresentato da quello che i compagni chiamavano cavaliere nero; oggi, parleranno di dama nera. O si ricordi ancora la parabola di Gianpaolo Pansa, prima osannato nei circoli culturali della sinistra e sui media progressisti, poi condannato e allontanato con un lebbroso per aver pubblicato, con una delle più importanti case editrici americane, un saggio storico in cui si narrano provati eccidi ed esecuzioni commessi dai partigiani dopo la cosiddetta liberazione, specialmente nel triangolo della morte, tutti eventi, questi, sistematicamente ignorati da tutta la sinistra, per non parlare dell’ANPI.

Sttrategie perdenti

Queste strategie sono, in realtà, abbastanza infantili, e dimostrano ancora una volta come la sinistra tratti i potenziali elettori come dei bambini da ammaestrare. Becere strategie per racimolare voti, facendo leva su sentimenti spesso poco nobili oppure sfruttando situazioni che dovrebbero restare fuori dal dibattito politico. Come definire l’idea di candidare Ilaria Salis, incarcerata e accusata di pestaggio in Ungheria, nelle file politiche della sinistra più progressista? Come giudicare il comportamento del padre della signora Salis, il quale, pur militando in un’area politica del tutto diversa, è andato, parole sue, a implorare una candidatura per la figlia col cappello in mano? A questo punto si è arrivati: la sinistra spera che la signora Salis venga votata da qualche elettore che, facendo finta di non considerare la (presunta) condotta violenta della signora, decida di salvarla dalla galera ungherese; si cercano voti facendo leva sulla pietà, ignorando tutto il resto. Oppure, si pensi al caso del monologo di Antonio Scurati sul fascismo in occasione del 25 aprile, che la RAI non ha voluto trasmettere per motivi economici, di mercato. Naturalmente, PD e alleati hanno gridato alla censura, sostenendo che questo rifiuto sia una prova del fatto che la RAI è sottomessa alle decisioni del governo. Premesso che la RAI è sempre stata oggetto di contesa politica (semplicemente, perché i vari governi nominano i direttori e i responsabili), resta il fatto che questa delirante accusa dimostra la malafede degli accusatori o la loro pochezza mentale. Infatti, in un contesto di ipercomunicaizone come quello attuale, rifiutare un testo come quello di Scurati corrisponde a dare allo stesso la massima visibilità (al contrario di quanto può accadere in un regime totalitario, anche se persino su questo ci sono dei dubbi, considerando la diffusione di informazioni attraverso i social). Da cui segue che se veramente la RAI avesse avuto intenzione di minimizzare l’impatto mediatico del testo di Scurati, l’emittente avrebbe trasmesso il testo, che sarebbe diventato uno fra i tanti, noiosissimi, atti di accusa contro la premier e contro il governo. Così facendo, invece, ha prestato il fianco alla sinistra, che non ha mancato di cogliere l’occasione.

Il PD è un partito finito, giunto al capolinea. Quando si vedono in televisione alcuni dibattiti fra ex esponenti della sinistra che inneggiano a una riforma strutturale, a una nuova sinistra e chi più ne ha più ne metta, vengono in mente i vecchi beoni di De André che cercano nel bar una giustificazione per il loro “essere stati presi per il sedere”.

Enrico Cipriani

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