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Il furto dell’anima: così l’immigrazione devasta la psiche

by La Redazione
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mille-voltiRoma, 27 giu – Quando si parla di “fenomeno migratorio” – al di là della falsificazione linguistica per definire una invasione allogena – si presenta sempre la questione nei termini del pericolo sanitario, dell’impatto economico e del rischio per l’ordine pubblico.

C’è un altro aspetto, però, più sottile, pervasivo e subdolo, quindi più pericoloso, che è l’influenza negativa sulla psiche individuale e collettiva. Ogni popolo ha un retaggio psichico che si è formato nel corso dei secoli e ne costituisce l’impronta di anima e di destino. È in tale senso che quando si parla di comunità si evidenzia quel dispositivo perfettamente comprensibile nella lingua germanica come Gemeinschaftsgefühl, sentimento comunitario.

Esso ha un’estrema importanza per lo sviluppo del senso di appartenenza e di condivisione. È questo spirito che permette lo sviluppo di quel legame di sangue e di suolo quale collante delle caotiche diversità individuali nella loro trasformazione a ordinata forma organica. La comunità è un organo vivente – mai un’organizzazione meccanica – che rispecchia il corpo umano, nelle diverse funzioni preposte alla vita, o l’orchestra, dove singoli eccellenti esecutori concorrono ad una comune armonia. Un organismo sano combatte ed elimina le cellule impazzite, in una lotta quotidiana per il proprio equilibrio.

Lo psicologo del profondo Carl Gustav Jung ha parlato – in proposito – di inconscio collettivo i cui dispositivi partono da “una vita psichica sconosciuta, appartenente ad un lontano passato; comunicano lo spirito dei nostri ignoti antenati, il loro modo di pensare e di sentire, il loro modo di sperimentare la vita e il mondo, gli uomini e gli dei”.

In maniera ancora più incisiva e mirata, Georges Devereux ha intuito l’esistenza di un “inconscio etnico, cioè la parte inconscia che l’individuo ha in comune con la maggioranza dei membri della sua cultura, che si trasmette per via transgenerazionale attraverso una sorta di insegnamento non biologico”.

Il capitalismo non poteva permettere tutto ciò e, con metodica perseverazione, ha intaccato nel corso del tempo questi paradigmi fondamentali. Trasformando la comunità in società, ha portato ogni rapporto a convenzione, e con l’instaurarsi del Gesellschaftsvertrag, del contratto societario, ha rotto il patto tra simili per favorire il più comodo accordo di interesse.

È in questa prospettiva che esso agisce attraverso lo strumento immigratorio. L’apologia dell’accoglienza, del meticciato, dell’annacquamento delle differenze, è esattamente l’espressione materiale dell’odio nei confronti della diversità.

Tutto deve essere uguale, indefinito, inconsistente. Questo per l’Occidente debole e imbelle. Mentre un Oriente orgoglioso e sano prevarica e si impone sul buonismo accattone della nostra civiltà.

Il capitale ci sta defraudando dell’anima, e il popolo – trasformato in popolazione – subisce questo furto con anestetica rassegnazione. Ogni lotta per l’identità diventa, quindi, una lotta contro il capitalismo mercantile e contro la sua strategia di uccisione della psiche individuale e comunitaria.

Ogni lotta contro il capitale assume la portata storica di lotta contro il pensiero debole, il relativismo cristiano e il materialismo comunista. Di fronte al male ogni mediazione e ogni compromesso rientrano nella cornice del tradimento, perpetrato contro i padri andati e contro i figli che verranno.

Adriano Segatori

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