Roma, 10 gen – Sogno a occhi (e mente) aperti. Due, ben due, sono state le serate devastanti in cui è stato dato in tivù Titanic, il film in cui Di Caprio era ancora filiforme e privo di panza. V’è da dire, in primis, che l’ascensore sociale, ma anche quello vero e proprio, non funzionava granché su quella nave. Chi si trovava in basso lì rimaneva, e ci rimaneva anche dal punto di vista della propria vita. Probabilmente uno su una quantità esagerata di disperati di terza classe è riuscito a evadere dai bassifondi della bagnarola: Di Caprio, appunto, esibendo una capacità di sopravvivenza che va ben oltre quella di Rambo, tra salti, piroette e nuotate nell’oceano a meno dieci.
Poi arriva il punto tragico, quello per cui ogni donna su questo pianeta ha versato almeno una valle di lacrime e sognato di essere affiancata per almeno una notte da un romanticone come Di Caprio: la nave si spezza in due e chi è sulle scialuppe sta bene, chi non c’è sta peggio. Piccola parentesi: su Twitter furoreggia una donzella originaria della Nigeria e che vive a Macerata. Divenne “famosa” perché intervistata coi lacrimoni dopo la vicenda di Traini e, successivamente, venne scelta per l’inaugurazione dell’anno accademico maceratese. Era evidentemente necessaria una testimonial del multiculturalismo sbandierato dalla sinistra soprattutto dopo la tentata strage. Ecco, questa nuova Rita Levi Montalcini ha richiesto che non venissero fatte scendere con priorità dalla nave Sea Watch le donne e i bambini, poiché, descrivendo il gentil sesso come più debole e meritevole di premura, saremmo caduti nuovamente nel sessismo. Di Caprio del Titanic la ringrazierebbe, ed ella certamente avrà un futuro come testimonial delle boiate più assurde avvistate sui social network.
Ma essendo il numero di gennaio del Primato Nazionale dedicato al femminismo isterico, casinaro e violento, pare giusto fare un appello a chi potrà, ossia a registi e simili, per riprodurre un Titanic in versione defemministizzata, in ossequio anche ai desideri della ragazza sopracitata: vogliamo un rivisitazione del film in cui lui decide di non far posto a lei sulla maledetta porta galleggiante sull’oceano decidendo così di salvare la propria pellaccia anziché quella di una signorina appena conosciuta e facente parte di quella classe sociale avvezza a maltrattarlo. Una riscossa maschile che coincide (non) volutamente con una riscossa di classe. A parità di possibilità e di pericolo, inconcepibile è l’idea per cui la donna debba sopravvivere per forza abbandonando con noncuranza il malcapitato congelato a scomparire negli abissi oceanici. Volete la parità in tutte le sue forme? E allora attaccatevi al tram e non alla porta sull’oceano, datevi da fare per trovarne un’altra o, altrimenti, rifatevela con il boldrinismo e l’argenteismo (nuovi filoni di pensiero nati dalla necessità impellente di due neofemministe: impegnare le proprie giornate) che vi hanno condannate alla parità con noi uomini.
Troppe sono ancora le donzelle che pretendono certe premure degne d’una specie in via d’estinzione. Allora stop alle portiere aperte, alle cene pagate, al “si accomodi lei, signorina”, al “aspetto che finisca tu per finire io”, al baciamano, alle frivolezze, agli anelli di fidanzamento che devono valere quanto un intero stipendio, alle rose fresche sulla scrivania, ai biglietti d’amore, alle lettere impegnate e a tutto ciò che poi non viene mai ricambiato. E stop alla comprensione delle vostre follie e dei vostri momenti di crisi. Ne riparleremo quando comprenderete le trasferte la domenica con la conseguente gravidanza da birra. E a giudicare dalla forma, anche Di Caprio deve essere avvezze a questo tipo di bevute. In alternativa, se in realtà tutto questo vi fa comodo, abbandonate la marea femminista e l’isterismo del vittimismo. Senza pari opportunità, su quella porta galleggiante finirete di nuovo voi. Dunque prima di imbarcarvi per una crociera leggete il Primato di gennaio e fate ammenda.
Lorenzo Zuppini