Roma, 19 lug – Non vi sentite un po’ in colpa? Sì, parlo proprio a voi al di là dello schermo. Voi che state leggendo, ancora assonnati perché vi siete alzati tardi per i fumi, non d’alcool ma delle croci infuocate che siete andati a piantare in giro tutta la notte. Voi che passerete la domenica a stirare il mantello bianco con la croce rossa e a lucidare lo spadone. Sì perché a leggere i giornali di oggi, quanto successo a Quinto di Treviso e Casale di San Nicola è colpa vostra, nostra, e di chiunque abbia qualcosa a che dire sulla gestione dell’immigrazione in Italia. Scorrendo le pagine dei giornali, le comprensibili proteste popolari di gente spaventata e preoccupata per il proprio futuro vengono dipinte come aggressioni degne del Ku Klux Klan, roba che nemmeno i templari in Terra Santa… Non moto spontaneo e nemmeno esasperazione, ma piano ordito da Lega e Casapound, pronti a soffiare sul fuoco agli ordini dei Salvini e dei Di Stefano, un po’ ghibellini impenitenti sordi ai richiami di pace e amore profusi Oltretevere e un po’ generali Custer smaniosi suonare la carica contro i “diversi” pellerossa.
NULLA DI SPONTANEO – Su Repubblica leggiamo un retroscena il cui incipit dice tutto: “Non c’è nulla di spontaneo nel giorno da cani di Casale San Nicola”. Tutto organizzato dai fasci-leghisti e dai “comitati di quartiere” che sono i loro ventriloqui. Una tesi sposata anche dal Fatto quotidiano, che cerca di ironizzare parlando di “Alba Dorata nero-verde” e di un segretario del Carroccio “apprendista stregone” che fa la “magia” con la destra radicale, ma poi non riesce a controllarne gli effetti. Il tutto condito da iperbole come: “Quinto e Cassi, guerra al terzo mondo”. L’analisi del Corsera punta invece il dito contro l’egemonia leghista sul centrodestra che “sta mandando in frantumi la sintonia col mondo cattolico, che sopravviveva al tramonto berlusconiano”. Fanno corollario pezzi con titoli roboanti stile: “La battaglia per fermare i profughi. Residenti e Casapound contro la Polizia”. Che, pur nella capziosa sintesi, almeno ammette che la gente “normale” non è un convitato di pietra dell’intera vicenda.
CECITA’ CREPUSCOLARE – “Sbattere il mostro in prima pagina”, vaneggiare di trame nere (che nella versione 2.0 si sono striate di verde) e dare sfoggio di buonismo, era una reazione prevedibile. Per utilizzare un gergo calcistico: “telefonata”. Ma fermarsi qui, denota uno sguardo davvero corto. Come quello cui è facile soffrire in carenza di luce, che rende i contorni poco definiti e impedisce di comprendere l’esatta forma e distanza degli oggetti. Allo stesso modo, ragionando con simili metri, non cogliamo che quanto visto in Veneto e a Roma negli ultimi giorni è già oltre il campanello d’allarme.
NIMBY DE NOIARTRI – Gli americani hanno coniato un termine efficace per descrivere la “sindrome” che tocca i residenti quando il Comune o un’istituzione pubblica vuole realizzare un’opera di interesse collettivo nei pressi della loro casa: Not in my back yard. Cioè, nulla contro dei lavori che mi offriranno un servizio in più, ma “non nel mio cortile”, perché cantieri e ruspe fanno rumore e mi danno fastidio. L’immagine è diventata un sinonimo di egoismo, lo stesso che si imputa a chi protesta contro uno Stato che succhia tasse come un’idrovora, eroga servizi di scarsa qualità e come dolce impone pure di avere dei clandestini come vicini di casa. Con l’aggravante che in questo caso “l’opera pubblica” non darà nemmeno i futuribili vantaggi. Non ci saranno una nuova scuola, un parcheggio o una linea di metropolitana in più. Perché allora io, cittadino per bene, in regola con il fisco e con la legge, devo veder diminuire la mia qualità della vita?
ALLUCINAZIONI – Il sincero democratico, il cattolico fervente già Papa Boy e ora entusiasta megafono di Francis the Pope, l’intellettuale “plurale”, tosto risponde che “non bisogna esagerare”, che è sbagliato fare di tutta l’erba un fascio (con o senza f maiuscola), che in fondo mica è detto che con questa gente non si possa convivere amabilmente. Del resto – la loro tesi di fondo – afferma che l’immigrazione è ricchezza e tutto questo degrado mica è poi vero ci sia. L’insicurezza che ne deriva in buona parte è solo una “percezione”. Un’allucinazione dovuta alla troppa birra tracannata in via Napoleone III o sul prato di Pontida. Cosa volete che siano gli 84.490 stranieri (questi i numeri ufficiali resi noti ieri, ndr) ospitati dal sistema di accoglienza italiano, ai quali naturalmente vanno aggiunti i clandestini non censiti e i milioni di “regolari” (5.014.437 al 1° gennaio 2015, ndr) non sempre perfettamente integrati?
RISPOSTE – La sociologia è una scienza affascinante, ma per una volta cerchiamo di essere semplici e pragmatici. Può non piacere, può creare imbarazzo e dare il mal di pancia a qualcuno, ma il problema esiste. E’ evidente come il fatto che oggi si schiatta di caldo. E lo Stato, invece di mostrare i muscoli, dovrebbero prima di ogni cosa dare delle risposte alle legittime preoccupazioni della gente, far sentire che appartenere a una comunità nazionale non è solo avere in tasta una carta d’identità uguale per tutti. Uscire dalla logica perversa per la quale chiunque dica “bè” di fronte al problema immigrazione è un becero razzista. Prima di piazzare centinaia di persone in un quartiere o in un condominio, eventualmente, si deve incontrare chi ci vive, spiegare, prevedere opere e interventi compensativi. Offrire certezza di tranquillità e legalità. Non scaricare il problema e adios. Eventualmente, sottolineo. Perché a monte di tutto, non scordiamoci che stiamo vivendo un’anomalia. In buona parte del resto di quell’Europa nella quale Renzi e compagni vogliono rimanere incollati con il Bostik, queste cose non avvengono nemmeno per sogno. Prendere le decisioni spetta alle istituzioni, è vero. Ma le stesse sono “al servizio” degli italiani, non viceversa. Questa è la differenza che passa fra cittadini e sudditi.
Giancarlo Litta
Immigrazione e scontri, colpa nostra
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