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Indottrinamento woke nell’Università del Wisconsin: “Solo i bianchi possono essere razzisti”

by Michele Iozzino
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Wisconsin

Roma, 26 gen – Negli Stati Uniti la Facoltà di giurisprudenza dell’Università del Wisconsin promuove un seminario di indottrinamento woke che insegna che solo i bianchi possono essere razzisti e che una società colorblind (ovvero che non prende in considerazione il colore della pelle) è discriminatoria verso le persone non bianche.

Il corso di ri-orientiamento dell’Università del Wisconsin

Il corso, promosso dall’Università del Wisconsin e definito di “ri-orientamento”, è obbligatorio per gli studenti del primo anno e si colloca all’interno della cosiddetta “formazione Dei”, acronimo che sta per “diversità, equità, ed inclusione”. Ma più che una lezione contro le discriminazioni, il seminario – che è consistito in una conferenza di due ore da parte del professore Joey Oteng, il quale si definisce un educatore della giustizia sociale – si è rivelato un coacervo di teorie di estrema sinistra e di colpevolizzazione delle persone bianche, con affermazioni del calibro di “non esistono bianchi eccezionali”, o che “tutti i bianchi sperimentano privilegi basati sul colore della loro pelle”, o ancora che è impossibile “liberare i bianchi dal condizionamento razzista”. Insomma, il razzismo sarebbe sistemico e tutti i bianchi sono colpevoli. Da ciò vengono dedotti tutta una serie di argomenti come il fatto che “solo i banchi possono essere razzisti” poiché “dire che le persone di colore possono essere razziste nega lo squilibrio di potere insito nel razzismo”. Oppure vengono negato che le persone bianche possano incontrare difficoltà o criticità nel loro percorso di vita: “I bianchi non dovrebbero mai parlare della loro storia di difficoltà perché sminuisce le esperienze delle persone di colore”.

Tra colpevolizzazione delle persone bianche e indottrinamento woke

Altra proposizione a dir poco discutibile al centro del seminario dell’Università del Wisconsin è quella che attacca l’impostazione colorblind, promuovendo al suo posto quella dalla affermative action (solitamente tradotta in italiano come “discriminazione positiva”). Come si può leggere nell’opuscolo distribuito agli studenti, “Dicendo che non siamo diversi, che non vedete il colore, dite anche che non vedete la vostra ‘bianchezza’. Questo nega l’esperienza di razzismo delle persone di colore e la vostra esperienza di privilegio”. Anzi, “attaccare la discriminazione positiva è razzista”. Quest’ultima promuove provvedimenti che favoriscano attivamente le minoranze nei confronti della maggioranza bianca, un esempio possono essere le quote riservata alle minoranze etniche sul luogo di lavoro o nelle stesse università. In altre parole, sostituire un discriminazione da parte della maggioranza, considerata negativa, con un discriminazione da parte delle minoranze, considerata positiva.

Michele Iozzino

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