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Intelligenza artificiale e progressismo: un binomio su cui indagare (e da spezzare)

by La Redazione
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Intelligenza artificiale

Roma, 1 lug – Quando si parla di tecnologia molti ambienti di destra hanno la particolare tendenza a parlarne in una maniera stranamente simile alla sinistra. Ovvero, si tende ad accettare alcune premesse implicite, come ad esempio l’esistenza di una forza metafisica chiamata “progresso” che ci costringerebbe a implementare in maniera sempre più rapida nuove strumenti. Movimenti storici assimilabili “alla destra” –  come il futurismo – rispondevano da una parte all’esigenza di uno sviluppo alternativo a ciò che era preponderante all’epoca quanto oggi, dall’altra a un sogno, a una spinta utopica che ai tempi conservava ancora molto del suo calore. Riteniamo sia essenziale porsi delle domande sul nostro rapporto con la tecnologia e la sua funzione, specialmente alla luce di quello che sta accadendo con l’intelligenza artificiale e le élite che la venerano.

Intelligenza artificiale, un “oggetto” adorato

E “venerazione” non è un termine scelto a caso. Progresso, al di fuori della sfera tecnologica, è un termine che appartiene alla galassia delle sinistre. In maniera simile al progresso tecnologico, viene concettualizzato come una spinta “liberatrice” e univoca: le sinistre, nonostante le loro divergenze, condividono questo orizzonte comune. Per loro non esistono davvero progressisti che sbagliano, ma solo idealisti ingenui il cui tempo deve ancora venire. La “liberazione” non finirà mai, ovviamente. Finita l’emancipazione delle donne, è arrivato il momento di emancipare i transessuali. Come spesso si fa notare situazioni come questa generano apparenti contraddizioni, dato che vedere i propri spazi invasi da quelli che biologicamente sono uomini va assolutamente contro gli interessi femminili, come le femministe stesse ora fanno notare con un’intuizione tardiva. Ma la contraddizione è solo apparente: il treno del progresso non si deve fermare poiché, andando avanti, ci si avvicina all’utopia, le cose devono giocoforza essere migliori e ogni sacrificio è quindi lecito. La destra riconosce questo processo per quello che è, ovvero un processo di dissoluzione. Notiamo come una definizione più accurata del progresso delle sinistre è “entropia”. Un processo univoco che nel suo incedere distrugge e dissipa quel che gli dà la spinta. A differenza dell’entropia in senso fisico, fortunatamente, il progresso può essere cancellato, lavato via, rimosso.

Progresso come unica via

Costruire è senza dubbio molto più difficile che distruggere, ma non solo è possibile, è anche ciò che la nostra parte razionale o sacra desidera. E questa parte razionale oltre che in ambiti strettamente “astratti” come la legislazione, la cultura e la religione desidera affermare questo desiderio di costruire anche nel mondo fisico acquisendo maestria dello spazio, ovvero sviluppando le proprie potenzialità nel mondo che la circonda. Questa maestria ha nel corso dei secoli assunto vari nomi, ma per semplicità la chiameremo vocazione. Quel che caratterizza la visione del mondo della sinistra è la totale assenza di una vocazione che non sia volta al progresso, e quindi una sorta di “anti-vocazione”. Ciò si evince dal fatto che pur affermando di voler risolvere il problema reale dell’alienazione dal lavoro non viene praticamente mai esaminato il processo industriale, che per i diktat del progresso è un passo necessario verso l’utopia e non va pertanto messo in discussione nonostante sia il singolo fattore che nella storia umana ha più impattato il nostro modo di interfacciarci al lavoro. Ma adesso è giunto il momento di chiedersi, il progresso tecnologico incontrollato è davvero così diverso dal progresso entropico che motiva le sinistre del mondo? Loro senza dubbio sembrano trattarli come se fossero compatibili.

Dove entra in gioco l’Ia

Il progresso tecnologico sostanzialmente risolve problemi: più grande è il problema risolto, maggiore è il successo dell’invenzione. Ma quale problema si desidera risolvere con l’intelligenza artificiale? Le sue potenzialità – di sicuro almeno in parte esagerate – sembrerebbero promettere la tanto agognata utopia del progresso: a malapena ci sarà necessario deliberare, la macchina quando sarà abbastanza avanzata potrà decidere, a detta di alcuni, persino meglio di noi. Ma sappiamo bene che, in realtà, il treno non si ferma mai. Dopo si cercherà di creare una macchina cosciente, (probabilmente un’operazione impossibile, ma esplorare il perché va oltre lo scopo di questo articolo) dopo ancora di rendere l’uomo immortale e così via. Ma gli uomini esuli dal lavoro saranno felici? La vocazione umana si esprime sempre in termini di lavoro concreto. Certe cose non si possono simulare: con buona pace della Silicon Valley, un finto appagamento del desiderio di maestria dello spazio è per definizione impossibile se quello spazio non ci appartiene. Ia in grado di produrre in pochi secondi interi film che problema risolvono? Si proporrebbero di riempire il vuoto nella nostra cultura causato dalla crisi che stiamo attraversando, ma non solo non risolvono la radice del problema: lungi dall’offrire una cultura di qualità non faranno altro che riempire il mercato di un minimo comun denominatore fatto su misura dei singoli consumatori. Non solo sarà difficile che qualcuno pensi di produrre un film con metodi tradizionali, ma farlo perderà parte fondamentale della suo significato ora che l’arena culturale appartiene a macchine e a una manciata di tecnici sottopagati.

Non si può simulare l’appagamento della vocazione umana. Ritorniamo adesso al termine “venerazione” menzionato prima. Il motivo per cui le élites sembrano venerare l’Ia, al punto da suggerire di usarla per creare una nuova religione, è che il progresso in tutte le sue sfaccettature è una religione senza un dio. Una religione millenarista e autodistruttiva che rimpiazza alle punizioni corporali delle peggiori eresie punizioni spirituali mascherate da apparenti benefici materiali. Con l’industrializzazione l’uomo può produrre molto di più, ma il suo lavoro consiste nell’essere un ingranaggio della macchina, almeno finché qualcuno – in alcuni casi lui stesso – non trova il modo di rendere la macchina ancora più autonoma. E il processo industriale soprattutto se svincolato dal diretto controllo di uno Stato stabile tenderà a crescere all’infinito senza un fine specifico. Qui è d’uopo far notare come questa ipotesi del progresso-religione spieghi perfettamente il fenomeno dell’ecologismo spicciolo. Quando abbiamo sentito parlare l’ultima volta di inquinamento, parola che rievoca immagini di isole di plastica e valli di ciminiere? Ora si parla di emissioni, un termine appositamente ambiguo che permette di giustificare, almeno in apparenza, pratiche volte semplicemente ad umiliare l’individuo e distruggere la sua cultura, come mangiare gli insetti o vivere in stanze minuscole.

Si parla ad nauseam di prodotti alternativi, biodegradabili, riciclabili e quant’altro, mai di porre un freno al processo incontrollato che ha in primo luogo portato a questi problemi e ridurre la quantità di prodotti in favore della loro qualità. Ovviamente non voglio sostenere che la destra debba adottare la filosofia dell’Unabomber e demolire tutte le fabbriche per tornare allo stato di natura, è senza dubbio vero che una volta che il genio è uscito dalla bottiglia non sempre lo si può far rientrare, come nel caso del processo industriale. Ritengo tuttavia possibile formare una scuola di pensiero che lo ascriva agli ambiti che davvero gli si addicono, come quello militare, riportando invece in vita altre forme di lavoro in ogni campo che lo permette. Per di più, se questa scuola di pensiero si svilupperà in maniera appropriata, riuscirà a restituire dignità vocazionale anche al lavoro industriale e informatico stesso. Questo mi porta al punto, quello che la destra deve fare per opporsi davvero alla sinistra in ambito tecnologico. Come abbiamo visto, essendo legata intimamente all’idea di progresso la tecnologia è un punto nevralgico della religione progressista. Cercare di opporsi a un nemico accettando i suoi presupposti è inutile, a maggior ragione se teniamo conto del fatto che molte persone ormai sarebbero perfettamente contente di imbottirsi di insetti e prodotti a base di soia. La posizione che la destra dovrebbe avere, a mio avviso, non deve essere nè contraria alla tecnologia in sé, nè supinamente lasciva nei confronti delle sue potenzialità entropiche. Così come l’uomo ha imparato a controllare gli istinti naturali che allo stato selvaggio lo portano a uccidere e a derubare, allo stesso modo deve imparare a controllare il suo istinto a perfezionare la tecnologia.

Nuove vocazioni

Non viviamo più nel 1800, dove con un po’ di sudore e buona volontà chiunque poteva portare le sue invenzioni sul mercato con minima assistenza: le risorse richieste per innovare nel campo delle Ia, ad esempio, sono tali che uno Stato degno di questo nome potrebbe facilmente decidere di dire sì a chi vuole sviluppare prodotti responsabili e no a chi vuole piegare lo spirito umano in nome della crescita infinita. Per di più la cultura che proponiamo, se avrà successo, soppianterà quella attuale. Quindi una posizione del genere, cambiando i presupposti fondamentali con cui ci approcciamo alla tecnica, favorirà nelle menti dei giovani lo sviluppo di innovazioni in linea con l’interesse nazionale, come Ia che aumentano davvero la nostra conoscenza, ad esempio come quelle che ricostruiscono i manoscritti danneggiati.

Così facendo la stessa tecnica che prima distruggeva la vocazione umana può a sua volta diventare una valida vocazione. Come abbiamo detto, combattere un nemico partendo dai suoi presupposti è inutile: la nostra rivoluzione non può avere la forma di quelle rosse, che distruggono le istituzioni dall’interno e bruciano indiscriminatamente quello che si frappone tra i rivoluzionari e la loro utopia funambolante; deve avere un elemento generativo che consenta a tutte le menti con una propria dignità di costruire un futuro locale, nazionale e stabile, deve trasformare i veleni in antidoti. La parola d’ordine quindi è “disciplina”. Disciplina interiore nel controllare le proprie pulsioni, anche quelle che a primo acchito sembrano positive sotto tutti i punti di vista, e un monito ad esaminare tutte le nostre credenze, anche quelle che sembrano più certe. Nuotiamo tutti in queste acque, e purtroppo sono inquinate dal dio del progresso.

Rocco Ferrara

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1 commento

fabio crociato 1 Luglio 2023 - 4:20

Aggiungerei, a riprova di quanto certo progresso tecnologico sia sospetto e non certo disinteressato, l’ analisi circa la sua velocizzazione esasperata sintomo di interessi ben poco umani quanto piuttosto di deliri materialistici. Altro che complementarietà testata e ritestata per non sacrificare il benessere della comunità…

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