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Isis: non chiamateli terroristi

by Paolo Mauri
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isisRoma, 24 apr – L’Europa vive da almeno due decenni in una specie di torpore che l’ha resa miope, come un malato terminale a cui viene somministrato un sedativo molto forte che gli annebbia la vista, e non sono serviti gli attentati di Parigi e Bruxelles per ridestarla, perché coloro che la stanno sedando sono gli stessi che siedono nei posti di potere di quest’organismo privo di concretezza che si chiama Unione Europea.

Dopo la fine della Guerra Fredda ci siamo cullati in un periodo di pace illusorio, mentre nel resto del mondo quelle realtà pseudo-religiose create ad arte per gli scopi funzionali alla guerra di attrito con l’Unione Sovietica e i suoi Paesi satelliti sono esplose e si sono rivoltate, come era facilmente prevedibile, verso coloro che li sovvenzionavano e addestravano. Dopo la Seconda Guerra Mondiale abbiamo vissuto un periodo storico in cui il fronte passava per Berlino e andava dal Baltico a Trieste, ora fatichiamo a capire che l’asse geopolitico mondiale non è più l’Europa ma il Medio ed Estremo Oriente: non lo è per gli Stati Uniti, che considerano marginale il fronte europeo nonostante lo Scudo Antimissili sistemato tra Polonia, Repubblica Ceca e Romania, e non lo è nemmeno per la Russia che, eccezion fatta per l’Ucraina, gioca i propri destini in Medio Oriente e nel Caucaso. Purtroppo questo non è chiaro ai nostri governanti, e nemmeno a molti analisti che sono ancora abbagliati da una visione eurocentrica che alla realtà dei fatti è talmente sbiadita da risultare quasi inconsistente.

Questa forma mentis si applica anche nel contrasto al Califfato, prima considerato dagli Usa, ma anche da Francia, Italia e Inghilterra, uno strumento per destabilizzare Assad ed il Medio Oriente ed ora, alla luce dei successi dell’intervento russo, annoverato tra i tanti gruppi terroristici di matrice islamica che sono fioriti nelle ultime decadi. Considerare l’Isis come un semplice gruppo terrorista è però altrettanto sbagliato come pensare che l’Europa sia ancora al centro dei giochi geopolitici mondiali: il Califfato non è al-Qaeda, è a tutti gli effetti uno Stato con un proprio territorio nazionale, delle leggi, un sistema scolastico, un esercito. Al-Baghdadi intrattiene rapporti commerciali con la Turchia e con le monarchie del Golfo, e quindi tramite queste anche con l’Occidente ed in particolare l’Europa.

Pensare che i miliziani dell’Isis siano terroristi è fuorviante e non aiuta a risolvere il problema: sono a tutti gli effetti dei soldati che stanno combattendo una guerra asimmetrica, una guerra dove rispondono con bombe e attentati ai bombardamenti effettuati sui loro territori, appunto perché l’Is non dispone di un’aviazione e di una flotta. Se il Califfato avesse cacciabombardieri e navi da guerra effettuerebbe bombardamenti e scontri navali “terroristici”, ma non disponendo di tali forze adotta l’unica risorsa possibile: i propri soldati usati come missili umani per farci la guerra. Gli obiettivi infatti sono gli stessi di una guerra convenzionale: aeroporti, trasporti, media e, ovviamente, la popolazione civile e i luoghi simbolo. La differenza qui è che non sono stormi di bombardieri B-17 a radere al suolo Dresda, ma sono cellule composte da 6/10 persone che, dopo un iter addestrativo passato in Siria o in Libia, tornano in Europa seguendo le vie dell’immigrazione per fungere da “bombardieri terroristici”.

Quando non si ha coscienza della natura di un problema la risposta che viene data per risolverlo non può che essere sbagliata: l’Unione Europea infatti ha delegato i ministeri dell’Interno come organo preposto a combattere l’Isis, relegando la Difesa a compiti del tutto secondari, cosa che non hanno fatto, ad esempio, la Russia e gli Stati Uniti: l’agenda del Consiglio Europeo riserva infatti poco spazio alla Difesa ed è, come sempre, concentrata su tematiche economiche e finanziarie o riguardanti l’immigrazione. Un altro segnale che quest’Europa è destinata a scomparire dal tavolo delle decisioni geopolitiche mondiali, troppo concentrata com’è a stabilire il grado di curvatura delle zucchine e a porre rimedio alla ventilata possibilità del Regno Unito di sfilarsi dall’Ue. Aggiungiamo che le soluzioni che vengono prese sul piano della lotta all’immigrazione e per la sorveglianza delle frontiere sono del tutto inefficaci: Schengen de facto non esiste più, caduto sotto i colpi dei vari “muri” eretti dai suoi Stati membri, Frontex risulta più uno strumento di salvataggio in mare piuttosto che porre un freno all’invasione che stiamo subendo. Parlare di Difesa in termini prettamente militari sembra quindi, anche in Europa, un tabù nonostante il mutare della crisi legata all’Isis che vede l’apertura di nuovi fronti molto più vicini al territorio dell’Unione (Libia e presto la Tunisia).
Quanti altri attentati dovremo subire prima che ci si svegli da questo torpore?

Paolo Mauri

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