Milano, 7 mar – Era il 7 marzo 1785 quando, nell’austriaca Milano, nasceva Alessandro Manzoni. Il nonno materno altro non era che Cesare Beccaria, autore del trattato “Dei delitti e delle pene”, celebre opera sulla pena di morte e sulla condizione dei carcerati. Beccaria, infatti, è uno dei più importanti letterati e patrioti che l’Italia abbia mai conosciuto, infiammato di spirito illuminista pronto ad alzare la voce contro le inguistizie.
Manzoni non fu solo l’autore di uno dei primi romanzi in lingua italiana, ma fu anche un importante membro del Senato del nascente Regno d’Italia. Allo scrittore lombardo venne, infatti, affidato il compito di risolvere la “questione della lingua” in un’Italia unita dove, però, non esistevano ancora gli italiani.
Mosso da un forte ideale romantico di libertà di espressione e di pensiero ma anche, quanto mai, ispirato da una continua ricerca di un dialogo con il vasto e variegato popolo italiano, Manzoni cercò fin da subito di compensare l’italiano formale dei testi ufficiali con quello regionale e volgare parlato quotidianamente dalla popolazione che mai si era posta il problema di parlare una lingua comune con i cugini del sud o del nord. Al popolo bastava esclusivamente il suo dialetto.
Ma quale “italiano” era l’italiano “giusto”, l’italiano di koinè? Quello, insomma, da prendere come modello per formare una lingua nazionale? Manzoni ritenne che il volgare più importante nella penisola fosse quello fiorentino. Ma non il fiorentino ricercato dei puristi, piuttosto quello parlato dall’alta e media borghesia. Insomma, quello utilizzato anche da Dante, sia pur trasposto di vari secoli. Dante, il primissimo letterato che si interessò della questione della lingua nel “De vulgari eloquentia”, è, secondo Manzoni, il modello assoluto per la letteratura italiana di tutti i tempi. Il lavoro di Manzoni di “sciacquare i panni in Arno” inizia con la revisione del suo capolavoro volta a modificare i vocaboli del testo per creare un linguaggio comprensibile da tutti i lettori, sia colti sia popolari, che fosse aperto, ma non troppo, ad influssi regionali e stranieri quindi latinismi, venetismi ma anche francesismi e altri ancora. Ovviamente doveva risaltare l’italiano, quindi l’uso di queste variabili venne molto limitato.
Il lavoro di Manzoni fu fondamentale per la creazione di un’unità linguistica. Per questo, da allora i “Promessi Sposi” e l’altro modello di perfezione linguistica la “Divina Commedia” divennero testi di studio obbligatori nelle scuole per insegnare alle giovani generazioni di italiani loro nuova lingua.
Manzoni stesso interverrà affinché il ministro dell’Istruzione del Regno, Emilio Broglio, affidi l’insegnamento della lingua italiana a maestri e professori toscani. Sollecitò il ministero anche alla creazione di piccoli “grand tour” affinché gli studenti di tutta Italia potessero visitare la Toscana alla scoperta dell’italiano perfetto. Manzoni fu uno dei primi che lottò per la realizzazione e la divulgazione nelle scuole di un vocabolario della lingua italiana. Broglio si impegnò personalmente alla redazione di tale opera assieme al genero di Manzoni, Giovan Battista Giorgini, e crearono il “Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze” non basato, tuttavia, sul fiorentino trecentesco, bensì su quello in uso nella Firenze di fine ottocento.
L’intento di Manzoni era molto nobile in quanto, cosciente del fatto che l’Italia viveva nel più completo analfabetismo, voleva rendere autonoma, almeno in ambito puramente espressivo, la produzione vocale e scrittoria del popolo italiano. Insomma, combattere l’analfabetismo e creare una coscienza di Stato comune che fino ad allora non era mai nemmeno passata per l’anticamera del cervello a nessun contadino o operaio, ma nemmeno a nessun politico dello stivale. Un lavoro di totale dedizione, di totale altruismo ma anche di totale amor di Patria, immenso e ammirevole; un atto di generosità che, ad un popolo e ad un élite ancora troppo legati alle “cose terrene”, farebbe molto piacere oltre che molto onore.
Tommaso Lunardi
Unire l'Italia anche nella lingua: Alessandro Manzoni
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[…] deve ancora venire e verrà quando i licenziamenti potranno ripartire. Noi italiani non abbiamo letto Cesare Beccaria, pare. Il 44% di noi è magicamente favorevole alla pena di morte. Si tratta di un dato che va […]
[…] metà tra la «X» manzoniana sulle case dei morti di peste e la scritta «don’t open, dead inside» che appariva nella serie […]
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