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Jean-Marie Le Pen e quelle sepolture sulle rive del canale di Suez…

by La Redazione
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Parigi, 11 apr – A proposito di Le Pen, Jean-Marie…, A questo proposito, vale forse la pena di segnalare un episodio, in apparenza marginale, rivelato da Pierre Sergent nel suo libro Je ne regrette rien, il racconto in prima persona dell’epopea dei legionari paracadutisti del 1er Rep. La notizia suscitò un certo clamore, visto che il protagonista era Jean-Marie Le Pen, l’uomo nero della propaganda gauchiste, il bieco razzista islamofobo fondatore del Front national, il movimento sovranista da diversi anni protagonista della scena politica francese.
Già volontario in Indocina come sottotenente al 1erBataillon étranger de parachutistes, direttamente agli ordini di Hélie Denoix de Saint-Marc, nell’ottobre del 1956 lascia i banchi dell’Assemblea dove ha ottenuto un seggio nel gruppo dell’Union et fraternité française, il movimento parlamentare di Pierre Poujade, per farsi richiamare in Algeria nelle fila del suo ex reparto. «Eletto deputato, aveva chiesto e ottenuto un congedo speciale dall’Assemblea nazionale per servire in Algeria. voleva dimostrare così che i rappresentanti del popolo non erano solo capaci di votare leggi che mandavano gli altri sotto il fuoco. Ma che erano anche capaci di combattere. Era la seconda volta che l’esplosivo deputato indossava il basco verde. Nessuno aveva dimenticato che era un ex del 1erBep d’Indocina».[1]
Le Pen non avrebbe potuto scegliere un periodo più drammatico e impegnativo.
Il 6 novembre, tra i ranghi della 1° compagnia del capitano Martin, sbarca con la prima ondata del 1er  Rep, nato dalle ceneri del 1er  Bep, sulla spiaggia di Porto Fuad, nel corso della campagna di Suez scatenata da Francia e Gran Bretagna, in trés dangereuse liaison con Israele…, dopo la nazionalizzazione della compagnia del Canale di Suez da parte di Nasser. Il giorno prima, i paras del 2eRégiment de parachutistes coloniaux del colonnello Chateau-Jobert si erano impadroniti di Porto Said, l’altro imbocco del canale, con un temerario lancio a bassa quota in due ondate sulle trincerate difese del Rais.[2]
Dopo quella breve e folgorante avventura egiziana, per Le Pen si spalancarono le porte infernali della “battaglia di Algeri”, dopo che al comandante della 10° Divisione paracadutisti Jacques Massu vennero conferiti tutti i poteri di polizia per mettere fine alla devastante campagna di terrorismo urbano, principalmente a base di bombe stragiste, scatenata dall’Fln in vista dell’imminente apertura di un dibattito all’Onu sulla questione algerina.
L’episodio cui facevamo riferimento si svolge nei giorni dell’avventura di Suez. Dopo l’improvviso e inatteso ordine del cessate il fuoco, imposto dalle cancellerie di Washington e di Mosca, il generale Massu, nell’amarezza cocente di quelle ore di vittoria tramutate in una virtuale sconfitta, durante un pasto nella tenda della mensa del suo stato maggiore, al quale aveva invitato anche il deputato-legionario, stupisce tutti dicendo: «Ho saputo stamattina dal nostro consigliere diplomatico che gli egiziani sono contenti di noi…”. Massu s’interrompe qualche istante. Per accentuare l’effetto delle sue parole, mastica lentamente un boccone di pollo. Poi riprende. “Pensano che diamo buona sepoltura ai loro morti”…
La battuta che suona sarcastica, intonata a quelle ore di rabbiosa delusione, provoca un’ilarità generale. Ma Massu frena subito tutti. “Sapete a chi dobbiamo tutta questa gratitudine?, aggiunge il generale. Al tenente Le Pen. Non è vero, Le Pen…?”.
Il momento si carica d’improvvisa tensione. «Le Pen non risponde subito. Si chiede se Massu lo stia sfottendo. Era stato effettivamente incaricato di dare sepoltura ai cadaveri degli egiziani. E l’aveva fatto coscienziosamente, con l’aiuto dei prigionieri. Non ci vedeva nulla di straordinario. «Ha rispettato le loro tradizioni religiose, spiega Massu. Ne sono rimasti colpiti. Ma vorrei sapere come mai ci avete pensato”. “Sono bretone, signor generale. Conosco l’importanza di quelle cose lì. Mi è sembrato naturale scavare delle fosse orientate verso La Mecca e di togliere le calzature ai morti”.BravoLe Pen!. Mi felicito con lei. Questa delicatezza le rende onore. Alcuni ufficiali potrebbero trarne qualche ispirazione”».[3]
Le Pen non aveva mai fatto parola di quella vicenda che venne alla ribalta nel 1972 con l’uscita del libro di Sergent. Inutile dire che di ciò i media custodi dell’ortodossia economically correctnon hanno mai sottolineato il valore d’esempio, preferendo invece trattare Le Pen da “torturatore” per il ruolo svolto con il 1erRep nel corso della “battaglia di Algeri”. E lui stesso ne ha sempre parlato con elegante ritrosia.[4]
[1]P. Sergent, Je ne regrette rien, Paris, 1972, pag. 314-315.
[2]Per i torbidi retroscena di quelle vicende vedi G. Peroncini, Il sillogismo imperfetto, Milano, 2007, Capitolo quarto, La crisi di Suez.
[3]P. Sergent, Je ne regrette rien, Paris, 1972, pag. 314-315.
[4]Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=PRPQlR3Q4sE. Da 09’.14’’ a 11’.46’’.
Amintore Dantan

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2 comments

Tony 11 Aprile 2018 - 8:55

….se tra avversari c’è reciproco rispetto, la lotta si ammantata d’onore….altrimenti è solo ”macelleria”….

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Jean-Marie Le Pen e quelle sepolture sulle rive del canale di Suez… | NUTesla | The Informant 11 Aprile 2018 - 10:02

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