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Kissinger faceva gli interessi americani, noi dovremmo imparare a fare quelli italiani

by Stelio Fergola
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Henry Kissinger

Roma, 30 nov – Doveva toccare anche a Henry Kissinger, di lasciare questo mondo. Alla veneranda età di 100 anni, l’ex Segretario di Stato americano esala l’ultimo respiro nella sua casa nel Connecticut.

Kissinger e il mondo multipolare

Di sicuro ciò che va attribuito  a Kissinger è la sua onestà intellettuale nel fronteggiare l’universo multipolare. Un atteggiamento strategico tenuto da sempre, anche in tempo di Guerra Fredda e con Paesi come il nostro, esattamente sulla linea di demarcazione tra i due blocchi ma proprio per questo ritenuti di grande importanza dal politico statunitense. Ovviamente, non si trattava di un’onestà gratuita, ma di puro pragmatismo nel primario interesse americano.

Quando gli interessi possono coincidere

Non ce ne frega nulla di esaltare o di demonizzare Kissinger. Ciò che ci importa è inquadrare la sua figura per ciò che potevano essere e che possono costituire tutt’oggi gli interessi italiani. La distensione “ad ogni costo” con la Russia, criticata anche su queste pagine, aveva in realtà un doppio risvolto che poteva coincidere con gli interessi geostrategici dell’Italia. Kissinger apparteneva a quella scuola di pensiero americana, importante ma non dominante, secondo cui sia più conveniente cercare alleanze nel bacino Mediterraneo, europeo e moscovita piuttosto che il contrario.

Chiaro che l’idea di fondo fosse anche quella di rendere i Paesi continentali che intendiamo come “Europa” più “marginabili” e quindi “controllabili”, ma non sembra che l’ostilità acerrima contro Mosca abbia ottenuto chissà quale effetto contrario, con i Paesi europei chissà quanto autonomi dall’ingerenza americana. Di conseguenza, è un argomento che si può agilmente mettere da parte, osservando semplicemente i fatti e indipendentemente dall’ovvietà che Kissinger – guarda un po’ – abbia pensato ai “fatti statunitensi” e non certamente a quelli europei o italiani. Qui si scatena, peraltro, l’eterno dibattito intorno a un’entità che nei fatti non è mai esistita (se non per qualche sparuto periodo della storia in cui il suo ruolo era più che altro coincidente con quello del proprio imperatore, ma parliamo di olltre un millennio fa) e sulla sua effettiva possibilità di essere una “forza politica autonoma” e competitiva, nonostante al suo interno vi siano Paesi geneticamente destinati ad essere tra loro non meno concorrenti di quanto lo siano a loro volta proprio con gli Usa (si pensi alla Francia e all’Italia nel contesto Mediterraneo, chi crede che possano mai convivere proficuamente e pacificamente probabilmente deve cambiare pianeta: ci sarà sempre qualcuno che prevarrà sull’altro, e oggi i subordinati siamo noi).

Dunque, se Kissinger attuò una politica di marginalizzazione della cosidetta Europa, è altrettanto indubbio che favorì spazi di manovra per l’Italia: non perché fosse buono e giusto (è una banalità sottolinearlo e non si dovrebbe neanche, ma purtroppo è spesso necessario) ma in quanto calcolatore freddo delle alleanze più convenienti alla sponda oltreoceano. La cruda verità è che per noi la Francia vale quanto gli Usa, in termini di competizione e di potenziale ostilità: l’unica differenza è che i secondi sono molto più forti dei primi. Ma il ragionamento che dovrebbe guidarci dovrebbe essere improntato al nostro interesse nazionale indipendentemente dall’interlocutore, senza troppi giri di parole spesso ideologici e poco concreti: in questo senso, Kissinger va preso a modello. Ovviamente con la bandiera giusta, quella tricolore.

Stelio Fergola

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