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La campionessa di scacchi che non va dai sauditi: un caso scuola di differenzialismo

by La Redazione
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Roma, 29 dic – Il rifiuto della campionessa di scacchi ucraina di partecipare a un torneo in Arabia Saudita per non indossare l’abaya, visto come simbolo di oppressione, è quasi un caso di scuola per quel che riguarda il cosiddetto differenzialismo, ovvero la teoria, per dirla in estrema sintesi, che intende riconoscere e difendere le concrete differenze etnoculturali, sociali, politiche, eccetera, che compongono il nostro pianeta, di contro a tutti i tentativi (omologanti e livellanti) di cancellarle. Innanzitutto, per entrare direttamente in argomento, seppur in maniera necessariamente schematica e semplificata, è interessante notare come molte critiche alla decisione dell’ucraina vengano da quello stesso ambiente, destroradicale, neofascista o come lo si preferirà definire, che non lesina attacchi feroci ad esempio al modo di vita americano. Ora, a me pare evidente che visti da una prospettiva differenzialista, tutti i ‘mondi di vita’ meritino lo stesso rispetto.

Gli Stati Uniti possono legittimamente essere criticati, si può e anzi si deve avversare ogni tentativo d’imporre quel modello ad altri, ma ‘a casa loro’ gli statunitensi hanno tutto il diritto di girare armati, in un contesto dove vige la pena di morte, segnato da fortissime polarizzazioni sociali, altamente competitivo, e quant’altro. Questo è il punto cruciale: rispetto, nel senso di non pretendere che un certo ‘mondo di vita’ sia distrutto o radicalmente trasformato sulla base di una presunta superiorità che si arroga chi quel mondo lo vorrebbe appunto vedere scomparso, non significa però affatto condivisione. In altre parole io trovo che chiunque abbia tutto il diritto di ritenere l’Arabia Saudita un paese che tratta le donne in maniera inaccettabile e regolarsi di conseguenza (è il caso in esame). Il punto è se poi ci si adopera per cambiare o meno quel paese, cosa che non mi pare la scacchista ucraina abbia auspicato.

Se non lo si fa, il problema, dal punto di vista differenzialista, non si pone. Se ad esempio qualcuno non volesse andare in Corea del Nord, perché troverebbe insopportabile viaggiare sotto sorveglianza, ciò sarebbe del tutto legittimo, a patto che quel qualcuno non finisca per mobilitarsi, in qualsiasi modo, per favorire, anche qui in qualsiasi modo, la caduta del regime nordcoreano. In altre parole, le differenze non vanno affatto tutte apprezzate e condivise, in nome di un atteggiamento non solo astratto ma soprattutto, ed è davvero paradossale, omologante e livellante (tutte le differenze sono poste sullo stesso piano). Possono essere invece rifiutate o anche ferocemente criticate, in nome di un appunto differente ‘mondo di vita’, purché non si cada nella pretesa di volerle trasformare, distruggere o ‘normalizzare’, partendo da ideologie universalistiche, per loro natura negatrici delle medesime differenze.

Giovanni Damiano

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La campionessa di scacchi che non va dai sauditi: un caso scuola di differenzialismo | NUTesla | The Informant 29 Dicembre 2017 - 6:08

[…] Author: Il Primato Nazionale […]

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Raffo 29 Dicembre 2017 - 10:30

Perfetto, non ho la preparazione socio/umanistica per apprezzare del tutto questo ottimo articolo ma io vorrei che l’ arabia saudita avesse maggiore rispetto del modus vivendi occidentale….. Ovvero non pretendo che si costruiscano chiese nella regione maomettana per eccellenza, ma almeno un tentativo di sopportare un jeans con maglietta casual e un paio di scarpe sportive si potrebbe fare…..sino a che tribalismo e religione saranno in commistione fra loro ci saranno sempre gravi intromissioni nella sfera privata e personale……. Per quanto riguarda la libertà negli stati uniti non so se dopo otto anni di obamizzazione sia rimasto qualcosa del vecchio spirito di frontiera ma il fatto di avere la libertà da lacci e vincoli burocratici di cui godono i cittadini ,ad esempio,della florida mi farebbe assai piacere….. in tutti i campi…..

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