Roma, 23 mag – Qualche giorno fa gli archeologi addetti al restauro dell’arco di Giano, finanziato dalla Soprintendenza e dal World Monuments Fund (insieme con American Express), hanno dichiarato di avere effettuato una scoperta straordinaria, in grado di riscrivere la storia del monumento. Alla base di tutto c’è il ritrovamento di un blocco con tre lettere inequivocabili impresse sopra: “COS”. Tutto ciò proverebbe, in maniera certa, che si tratta in realtà dell’arco fatto costruire dai figli in onore di Costantino. Sensazionale! Se non fosse per il solo fatto che basterebbe prendere qualsiasi manuale in cui vengano elencate le abbreviazioni latine per sapere che la sigla “COS” sui monumenti di Roma, in genere, indica “Console” oppure “Consolato” o “Consolare”. Perché tradurlo con Costantino? Eppure la datazione attribuita al monumento, tranne nel caso sia stato costruito per la visita di Costanzo II nel 357 e.v., tesi minoritaria, vede storici dell’arte e archeologi concordi sulla datazione riferita al periodo di Massenzio e Costantino. Praticamente, se riferita alla datazione, ci troviamo di fronte alla “scoperta dell’acqua calda”! Ma soprattutto, un imperatore che non fece mai nulla per restare anonimo e per celebrare la propria grandezza, oltre al noto arco prospicente l’anfiteatro Flavio, ricorse persino a un colosso le cui parti del corpo sono ben visibili ai musei capitolini, perché mai avrebbe dovuto consegnare alla storia un monumento privo di dedica chiara?
Tra l’ altro la sua integrità sarebbe stata garantita anche in epoca cristiana, visto che non solo all’Imperatore in questione veniva attribuita la cristianizzazione di Roma, ma per tutto il medioevo, grazie alla falsa donazione di Costantino, la Chiesa si fregiava di aver ricevuto da quest’ultimo, anche l’alienazione del patrimonio dell’Urbe. Chi si sarebbe sognato di toccare questo monumento eretto per questo predestinato benefattore? Invece niente di tutto questo. Già nel XII secolo l’ arco di Giano era probabilmente inglobato in una rocca appartenente ai Frangipane, mentre nel XIII secolo è certo fosse l’ abitazione di Egidio Boezio essendoci documenti che ne testimoniano l’ordine di abbattimento delle parti in laterizio considerate non originali, da parte di papa Gregorio IX. Insomma, a nostro avviso, si tratta di una subdola mistificazione per porre al centro dell’attenzione mediatica la nuova “location” per sfilate della nota casa di moda “Fendi”, già al centro di polemiche negli ultimi tempi per voler storpiare l’arco e la sua bellezza accostandovi una scala di acciaio. A Fendi il Comune di Roma ha ben pensato di assegnare il palazzo che sovrasta l’arco di Giano per farne un luogo adibito a mostre. Bastava dirlo anziché scomodare archeologi alla ricerca di una ribalta mediatica, ai quali sarebbe più consona la pratica della ribalta dell’arida zolla!
Cogliamo invece l’ occasione per approfondire l’argomento visto il grande e rinnovato interesse su un monumento di cui si sa ben poco, grazie proprio alla solerzia del subentrato culto cristiano e dei suoi accaniti discepoli, che ben pensò di distruggere tutte le fonti della cultura antica, ritenuta portatrice della demoniaca (a loro giudizio, ovviamente) sapienza pagana. L’arco di Giano sorge in un luogo particolare, dove una volta vi era la cosiddetta palude del Velabro, ancora oggi molto ricco di templi visibili come quello di Ercole Olivario e quello di Portuno, ma anche celati come l’ara massima di Ercole, su cui è costruita la chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Nella stessa zona la leggenda narra che si arenò la cesta con i gemelli fondatori dell’Urbe, Romolo e Remo. Ed è a questo evento che quel luogo deve la sua sacralità. Là dove vite affidate al “fiume che scorre”, a Tevere, figlio di Giano e della ninfa Camese, da essere in balia delle acque, in un preciso momento, toccano terra. Questo per i nostri padri è sempre stato un passaggio, una porta per l’appunto. L’arco di Giano e la sua storia, per quanto ne conosciamo, ci raccontano che ancora ai tempi di Costantino, degli uomini, erano dotati di una sensibilità verso luoghi sacri della Roma arcaica, tanto da dedicare un vero tempio a quel nume che assistette al primo evento straordinario che fu la salvazione dalle acque della cesta contenente i sacri gemelli, ed il loro approdo in terra ferma!
Janus Consivius cioè propagatore del genere umano, che viene “seminato” per opera sua, della civiltà, delle istituzioni.
Quadrifronte perché Procreatore, perché rappresentante 4 varchi simboleggianti i 4 elementi “Così è che Giano (come lo stesso ci racconta per bocca di Ovidio ne i Fasti I, 103 e s.s.), era presente allorché i quattro elementi si separarono tra di loro dando forma ad ogni cosa”. Simboli, tracce che riemergono dalla notte dei tempi e si schiudono nel terreno fertile del culto ancora vivo e vegeto della stirpe indoeuropea. Le ultime propaggini dei gruppi magico operativi, che si rifacevano al nume di Roma, indicavano nell’arco di Giano il luogo dove venivano conservati i fasci littori, e lo riconoscevano come un luogo carico di potenti energie. Dunque anche ai nostri giorni, dove le politiche dei governi impongono il tramonto delle identità nel nome dell’universalismo del genere umano, torna a farsi sentire la presenza di un Dio potente, percepito come ingombrante e da “coprire” con azioni che ne “depotenzino” la forza nel luogo a lui consacrato. Per Fortuna ciò che doveva essere fatto è stato fatto ed il Pro-creatore ha già concesso il passaggio!
Marzio Boni