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“L’arte della guerra” e Malaparte, il Napoli in tricolore non è una bestemmia

by Lorenzo Cafarchio
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Napoli-Inter serie ANapoli, 1 dic – Le braccia divaricate, la testa sporta in avanti, la corsa folle verso la bandierina. Così esulta Gonzalo Higuain dopo il primo goal siglato ieri sera all’Inter di Mancini. Il Napoli vince 2-1 contro i milanesi e dopo 25 anni torna primo in solitaria, davanti a tutti, re della classe, con una corona oggi più che mai lucente.

Maurizio Sarri, c’è chi lo vede diretto discendente di Sacchi, per la propensione al gioco del calcio – dato di per sé già significativo vista la pochezza della serie A – e un po’ Zeman, per quella sigaretta tenuta a due dita. Il calcio dei partenopei è ossessione, una riproposizione spasmodica dei movimenti, degli inserimenti, del gioco con e senza palla, dei lanci, con una visione maniacale del calcio degli avversari, perché Sarri applica alla lettera Sun Tzu e ha fatto de L’arte della guerra il suo mantra. “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura”, sono semplici parole applicate anche in 13 ore di lavoro quotidiano, davanti al pc, su un taccuino, con un drone che vola sopra i campi di Fuorigrotta durante l’allenamento.

Il segreto dei partenopei è il suo nuovo allenatore, capace di rendere Il Pipita una macchina da 12 segnature in 14 gare nel massimo campionato e con un regista l’ex Verona, Jorginho, elica di un marchingegno nato ai tempi di Pierpaolo Marino.

Sarri si è formato lavorando per la Monte Paschi, “finanza interbancaria” il suo vecchio mestiere che gli ha permesso di girare l’Europa ed imparare l’inglese, prendendo le distanza dalla sua terra d’adozione, la Toscana, che da Figline Valdarno lo ha lanciato in orbita. Ma nelle vene scorre sangue campano e la fede è quella azzurra.

Mentre il 4-3-3 che ha steso i meneghini scriveva le sue traiettorie al San Paolo, passavano tra gli occhiali dell’uomo in tuta le avventure da perfetto Mr. Wolf calciofilo. Dalla scaramanzia, una particolare predisposizione per il colore nero, passando per la carriera che vede sulla falsariga di Renzo Ulivieri e l’odore della carta, dei libri, suoi fedeli compagni di viaggio. Bukowski e la “critica a tutti o quasi” come appiglio, nel satinato delle domeniche pomeriggio.

“La parola scudetto? Resta una bestemmia, non mi fate scomunicare”, anche a uomini come lui tocca danzare con i giornalisti, perché gli azzurri in questo contesto sono La Pelle di Curzio Malaparte, placidi nella tempesta partenopea, la dove è “il destino dell’Europa di diventare Napoli”.

Lorenzo Cafarchio

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