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Le Iene ora ci fanno lezione di antirazzismo. Sfruttando i bambini

by Lorenzo Zuppini
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Roma, 25 feb – Nadia Toffa, quella che consigliava di sorridere di fronte a un tumore, aveva lo sguardo truce di chi prende atto di una deriva. E la deriva che interessava alle Iene è il (presunto) razzismo che imperversa nell’Italia salviniana. E come ogni buon cronista fazioso, anche loro introducevano il loro (dis)servizio ponendo il pubblico di fronte al fatto compiuto: il paese è nelle mani dei pericolosi e voi, voi tutti, siete un po’ responsabili di questo schifo perché troppo spesso applaudite a Salvini.

Il nocciolo è questo, il nocciolo è la deriva e l’incapacità del popolino di elevarsi spiccando il volo e lasciandosi la grettezza salviniana alle spalle. In altre parole, loro sono la minoranza intransigente, noi la maggioranza scema, per usare le parole di un Giuliano Ferrara di altri tempi, non certo quello di oggi che auspica che Salvini, pur magari non avendo sequestrato nessuno, si faccia comunque un po’ di galera.

Le Iene, dicevamo, capeggiano questo circo mediatico un po’ imbarazzante e un po’ scemo, ma non perché non abbiano le carte in regola per essere intelligentemente fastidiosi, ma perché con la vista appannata dalla faziosità rimediano certe figure oscene degne di un apprendista. Come quando, entrati a CasaPound, il buon Filippo Roma si era portato dietro la suggeritrice che, priva di qualsiasi ragionamento politico, tentava di mettere all’angolo chi occupa un palazzo per dare un tetto a svariate famiglie in un contesto nazionale di migliaia di occupazione rosse dove, di tanto in tanto, una ragazza italiana finisce in overdose e successivamente stuprata.

L’ossessione del razzismo

I bambini, dai tempi del Palasharp in cui venne fatto comiziare un tredicenne contro Berlusconi, sono l’arma preferita di chi non ha più armi. Nel servizio andato in onda ieri sera su Italia Uno a otto bambini è stato chiesto di decidere con quale bambola avrebbero preferito giocare: se con quella bianca o con quella di colore. Passano i minuti, i bambini scelgono liberamente la preferita e, senza alcun tipo di senso, vengono fatte parlare le bambole le quali, laddove non fossero state scelte, si lamentano chiedendo carezze e baci.

Morale della favola: non dobbiamo scegliere un colore solo ma amarne molti. Quindi, se nelle nostre case non vi sono bambole di colore ma solo bambole bianche, ossia classiche, il razzismo è già alla porta pronto per entrare e avvelenare il nostro nido. Se non obblighiamo i nostri figli a giocare all’asilo o al parco con bambini di colore, le Iene ci han detto che diverranno certamente membri del nuovo Ku Klux Klan. Dobbiamo correre ai ripari proprio come hanno già fatto negli Stati Uniti: anche in Italia dobbiamo eliminare Cristoforo Colombo dai libri di storia, dato che sue statue nelle università non ce sono, poiché rappresenta plasticamente la violenza e l’ingordigia dell’uomo bianco conquistatore. E, possibilmente, far studiare a scuola assieme a Pascoli anche i testi di Malcolm X, celebre intellettuale avverso alla razza bianca.

Nel solco della Murgia e di Saviano

Il tutto per contrastare il razzismo di ritorno, questo vento impetuoso che sta investendo il nostro paese e che solletica la gentaglia proprio sulla pancia e mai sulla testa. La testa di questa nazione è rappresentata dal ceto medio riflessivo che va dalla Murgia a Saviano, passando per il salotto europeista di Calenda e attraversando l’opinionista pubblico impegnato a render questo paese migliore, vivibile, conforme e dettami del perbenismo antiquì e antiquà.

La storia del maestro stronzo che mette all’angolo l’alunno di colore puzza di cazzata lontano chilometri, o comunque puzza la narrazione che ne è stata fatta nei salotti tivù in cui è stato taciuto che egli fosse riconosciuto come uomo di sinistra e che, al netto dell’indignazione facile, ha spiegato come mai ha preso quell’iniziativa. Si tace tutto ciò perché il bisogno di autodenuncia, il bisogno di autorazzismo e di autoflagellazione è troppo forte. Sono questi i presupposti minimi per entrar a far parte di quel mondo arcobaleno minoritario ma al contempo maggioritario per il baccano che produce, accolto con tutti gli onori nelle cancellerie mondiali.

Guardando la tivù, ascoltando il dibattito si avverte questa frenesia, si nota l’indignazione facilona serpeggiare negli occhi della classe intellettuale come una saetta: meglio un piantino oggi di una stretta di mano domani, questo è il succo del discorso. Cercano e stanano la preda come dei segugi dietro alla selvaggina. Aspettano con la bava alla bocca il maestro coglione che si lascia andare a dello sperimentalismo avventato, e appena lo scemo cade nella trappola, il coro è pronto a partire con il lamento frignone e trendy per un paese che da sempre è rozzo, che da sempre ha qualcosa che non va, marcio nelle fondamenta e bisognoso di una svolta progressista che liberi le migliori energie presenti. Tipo i centri sociali dove, udite udite, si balla, si canta, si dipinge, si discute e si smuovono le acque per una riscossa nazionale all’insegna dell’accoglienza e dell’esproprio proletario. Giocare con le bambole è il loro massimo.

Lorenzo Zuppini

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