Roma, 22 dic – La spada di Damocle pende su ogni premier dell’Eurozona. La mitologia ci aiuta a capire meglio l’attualità. Si narra che Dionigi, tiranno di Siracusa aveva posizionato una spada sulla testa di Damocle (un cortigiano, che per un giorno prese il suo posto) per fargli capire quanto sia in realtà insicura ed esposta a mille pericoli la posizione di un uomo potente. Oggi, però ben altri rischi corrono i governanti. Se, durante gli anni della Magna Grecia, i tiranni temevano di essere pugnalati o avvelenati; oggi i politici temono nello stesso modo, il fiscal compact. Qualcuno forse lo ha dimenticato. Eppure è ancora in vigore.
Il fiscal compact è un trattato votato e voluto da quasi tutti i Paesi dell’Eurozona e reso valido dal voto di tutti i gruppi politici più importanti (dai socialisti ai popolari). Certo definire il fiscal compact, un trattato è come dire che un cappio è una cravatta un po’ strettina.
Vediamo perché. Esso ingloba le regole fiscali già previste dal Patto di stabilità e di crescita del 1997 e le rafforza. In primis, il rapporto tra deficit e Pil non può eccedere il 3%. Inoltre, i governi devono puntare al raggiungimento del pareggio di bilancio. Ma, non basta. Al netto dell’andamento ciclico dell’economia, il deficit “strutturale” non dovrà eccedere lo 0,5% del Pil. Infine, i paesi con un debito pubblico superiore al 60% del Pil dovranno tagliare la quota eccedente tale soglia di un ventesimo l’anno.
Data la nostra situazione economica, sembra un abito cucito su misura per l’Italia. Ma, cosa succede se non manteniamo la parola data?
Se questi parametri non vengono rispettati, scattano delle sanzioni automatiche abbastanza pesanti volte a far tornare i conti. Le cosiddette clausole di salvaguardia. Ossia quelle clausole contenenti aumenti delle accise (ad esempio Iva o tasse sui carburanti) volte a fornire le coperture per il bilancio dello Stato. Le clausole di salvaguardia tolte ammontano ad un’entrata fiscale per lo Stato di circa diciassette miliardi ed il calo di entrate fiscale di venti miliardi previsto è calcolato tenendo conto del blocco di queste clausole di salvaguardia.
Per quest’anno Renzi dice che il pericolo è stato disinnescato. Forse. Ma, l’ordigno è sempre pronto ad esplodere.
Un interessante articolo di Giuseppe Timpone, pubblicato sul sito Investireoggi.it ci mostra i rischi che corre il nostro Paese: “Il deficit/Pil atteso per l’anno prossimo è del 2,3%, affinché il debito scenda al 129,4% del Pil, come teoricamente ci imporrebbe il parametro europeo, la nostra economia dovrebbe crescere di oltre il 5,3%. E’ già tanto se cresceremo della metà. Ne consegue che, allo stato attuale, il nostro debito pubblico risulterà più alto di quello obiettivo del 2,8% del Pil, ovvero di 45 miliardi di euro”. Per Timpone, però, l’Ue non applicherà nessuna sanzione quest’anno, ma l’appuntamento è solo rimandato.
L’opinione di Timpone non è un caso isolato. Ad esempio, i tecnici del Senato, riguardo alle coperture hanno chiesto chiarimenti per banche, casa e Rai, ma anche Croce rossa e alluvione di Sarno. Insomma, la domanda rivolta al governo è stata: dove prendi i soldi?
Attenzione se è verosimile l’ipotesi che la Commissione Europea per i primi tempi si limiti alla moral suasion, questo non deve far dimenticare che l’obiettivo di lungo periodo è quello di portare debito pubblico massimo al 60% del Pil nell’Eurozona.
Insomma, considerando l’incapacità italica di tagliare gli sprechi e le clientele, per cambiare direzione alla nostra politica economica non basta qualche sconto È necessario ridiscutere quei trattati. In caso contrario nessuno si potrà lamentare se nei prossimi anni assisteremo ad un drastico taglio della spesa pubblica che inevitabilmente si abbatterà sui soggetti più deboli.
Salvatore Recupero