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L’esperienza situazionista: storia di una nuova forma di creatività

by La Redazione
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Guy debord situazionista

Roma, 18 feb – Il movimento situazionista nasce in un momento crucile della cultura e della politica del Novecento ed ha lasciato un segno indelebile nella storia intellettuale di quel periodo. La sua fondazione è avvenuta ad opera di un piccolo gruppo, formato soltanto da settanta persone, e la sua durata è stata nel complesso molto limitata. Nato dalla tradizione della cultura lettrista nel 1952, il movimento si è sciolto nel 1972. Ha subito molte evoluzioni durante i suoi vent’anni di esistenza al punto che ancora oggi ha un’influenza significativa sul dibattito di intellettuali ed artisti.

La rivoluzione culturale

Va detto che, fin dalle sue origini, l’avanguardia situazionista è stata legata ad una certa visione della morale, con un’interpretazione trasgressiva e, in un certo senso, intollerante, posizione che era alla base di una concezione molto libera e creativa del modo di essere. La prima apparizione del concetto di “situazione”, nella sua declinazione situazionista, fu nell’aprile del 1952 in uno scritto di Guy Debord. Questo scritto prefigurava un’azione unitaria in campi molto diversi, all’interno dei quali la morale occupava un posto centrale.

Debord aveva un programma articolato e ambizioso. Si proponeva di creare una “scienza delle situazioni”, che prendesse in carico elementi della psicologia, della statistica, dell’urbanistica e della morale. Questi elementi, liberati dalla loro specificità, dovevano contribuire al raggiungimento di un obiettivo assolutamente nuovo: la creazione consapevole di situazioni. Alla base di questa iniziale dichiarazione d’intenti c’era la convinzione che l’uomo dovesse finalmente arrivare alla comprensione delle circostanze che generalmente influenzano il corso della sua vita, per passare da uno stato di passività abituale all’affermazione di un desiderio di trasformazione della vita. Ciò poteva avvenire attraverso una consapevole disposizione dei contesti, delle persone e dei luoghi. Per raggiungere questo obiettivo era necessario ripensare e sintetizzare la conoscenza nelle sue cause materiali, ovvero ripercorrere con consapevolezza la vita di tutti i giorni. Si avviava così un importante momento di analisi delle relazioni esistenziali. Si pensava che l’urbanistica, creatrice della forma delle città, nel suo sviluppo potesse dare esiti contradditori: permetteva o impediva l’incontro tra gli individui, ne indirizzava gli spostamenti e distribuiva nello spazio professioni, generazioni e classi sociali. Così avveniva anche nell’uso della statistica, che accumulava dati sulla vendita di beni di consumo, ne quantificava l’utilizzo e misurava l’affluenza dei consumatori in determinati luoghi. Ciò veniva rilevato in determinate ore del giorno e della notte, in modo da costruire una visione complessiva delle condizioni di vita della gente. Non poteva mancare una particolare attenzione alla psicologia alla quale si attribuiva la comprensione delle circostanze che esercitano una data influenza sul comportamento, sugli affetti e sugli stati d’animo. Della moralità ci si occupava per conoscere le norme ed i valori relativi alle pratiche sociali quotidiane. Sulla base di queste considerazioni, il movimento situazionista si prefiggeva il compito di delineare, alla luce di esperienze e di comportamenti diversi e dell’intensificazione dell’esperienza vissuta, nuove prospettive esistenziali.

Il dominio della situazione

Significativo è il passo in cui Debord descrive l’atteggiamento verso la vita da parte sua. Infatti, scrive: “L’avventuriero è colui che porta le avventure e non colui a cui accadono le avventure”.

Con questo spirito e con la stessa determinazione si rivolgeva agli aspetti creativi quando affermava che “le arti future saranno sconvolgimenti di situazioni, o niente” e aggiungeva che “volutamente al di là del limitato gioco delle forme, sarà presente la nuova bellezza”.

La situazione era intesa non solo come un’esperienza da vivere al di là dell’opera d’arte, ma anche come una “materia da trattare”, vale a dire una “materia” che poteva essere trasformata secondo i casi. Interpretata come l’essenza, il tessuto dell’esistenza, nella situazione si manifestava un’esigenza etica, un dovere, una questione di moralità. Si puntava alla trasformazione della morale con la definizione di nuove norme che stabilissero “certi atti che dovevano essere compiuti, alcuni atteggiamenti che dovevano essere assunti e parole che dovevano essere dette”. In breve, la situazione presupponeva la rivoluzione sociale come espressione e strumento di una mutazione dell’ethos.

Una dichiarazione di Debord è significativa a tal proposito: “Pensiamo di dover giudicare qualcuno non dai comportamenti sempre giustificabili che gli vengono attribuiti in quanto relativi al peggio che aveva incontrato, ma dal modo in cui è in grado di rispondere al meglio che aveva incontrato”. Era dunque fondamentale il fatto di essere all’altezza della situazione, anche di poter modificare la situazione esistente e di crearne una nuova.

Una nuova creatività

Ecco perché si può parlare della creatività spesa nell’invenzione di nuovi modi di essere in ogni circostanza come criterio di giudizio che era contemporaneamente etico ed estetico, quindi politico, L’etica situazionista, che nega le vecchie norme morali e si preoccupa di inventare comportamenti radicali “al di là del bene e del male”, appare ancora valida oggi? Ha certamente partecipato alla formazione di figure di notevole spessore culturale e politico, la cui influenza non è dovuta solo all’importanza ed al richiamo che il movimento situazionista hanno esercitato per quasi mezzo secolo. Dobbiamo riconoscere che il movimento è stato un esercizio di assoluta conformità dell’uomo alle sue idee, come non si verificava da tempo.

Roberto Ugo Nucci

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