Roma, 18 feb – Recentemente rilasciato su diverse piattaforme (tra cui Prime Video), Napoleon, il colossal di Ridley Scott uscito al cinema il 23 novembre dello scorso anno, ha scatenato un putiferio: dividendo il pubblico tra chi ha osannato il film come un capolavoro assoluto e chi si è accanito anche sulle più piccole inesattezze storiche (che, beninteso, ci sono e anche parecchio gravi). Ma la questione è, paradossalmente, molto semplice: Napoleon è una pellicola di propaganda (e della peggior specie, potremmo aggiungere). Anzi, è una propaganda che sarebbe risultata imbarazzante persino per quella antinapoleonica, inglese, del tempo di Bonaparte. Ma andiamo per gradi. È importante dividere, infatti, le critiche in categorie: quelle storiche e quelle narrativo-propagandistiche.
Napoleon, un obbrobrio storiografico
Che Ridley Scott, con l’accuratezza storiografica, abbia un brutto rapporto non è una novità, salvo alcune eccezioni. Ma qui non si tratta di inesattezze trascurabili. Non si tratta, per fare una battuta, di soldati che indossano uniformi di fine Settecento nella scena di Austerlitz (1805). Qui siamo davvero ai limiti della fantastoria. E quel che è peggio è che, il più delle volte, questi errori non sono dettati da ignoranza storica o da necessità narrative, bensì dalla loro funzionalità a dipingere l’Imperatore nella maniera più negativa possibile, in linea con la propaganda antibonapartista albionica più triviale. Partiamo da quelle meno gravi o necessarie a fini narrativi:
Napoleone che assiste all’esecuzione di Maria Antonietta: al momento della decapitazione dell’ex regina di Francia, il giovane ufficiale corso si trovava già a Tolone, dove avrebbe conseguito di lì a poco il suo primo importante successo militare. L’insurrezione realista del 13 vendemmiaio raffigurata in pieno giorno: la nomina del generale Bonaparte a comandante dell’unità che avrebbe dovuto reprimere il tentativo dei monarchici di marciare sulla Convenzione arrivò poco dopo la mezzanotte tra il 12 e il 13 vendemmiaio (4-5 ottobre, nel calendario gregoriano): ergo, le famigerate cannonate a mitraglia sui fanatici legittimisti avvennero in piena notte.
La pace di Tilsit firmata sulla riva russa del fiume Niemen: l’Imperatore dei francesi e lo Zar Alessandro I si incontrarono proprio in mezzo al fiume, su un pontone di legno galleggiante, a simboleggiare la neutralità e la funzione di confine naturale del corso d’acqua. Inoltre, la pace venne siglata nel 1807, prima del divorzio da Giuseppina (1810) e non dopo, come viene mostrato nel film. Napoleone che, al suo ritorno dall’isola d’Elba, apprende della morte di Giuseppina: no, l’ex Imperatrice morì mentre Napoleone si trovava ancora all’Elba, ed egli ne venne informato in loco.
Una sequela di errori voluti
Ma queste, se vogliamo, sono persino delle piccolezze, che non denotano nulla se non la scarsa attenzione alla verità storica da parte del regista. Quelli che andremo a vedere ora, invece, sono errori gravi e voluti al fine di raffigurare Napoleone nel peggior modo possibile. Procediamo in ordine cronologico:
Napoleone che, durante la Campagna d’Egitto, ordina di tirare una cannonata sulla piramide di Chefren: per dare valore alla tesi del «Napoleone barbaro e razziatore» (ripresa anche da certi conservatori da strapazzo di casa nostra), il regista mostra i cannoni francesi che, durante la battaglia delle piramidi, colpiscono il monumento egizio. Questa cosa, oltre ad essere totalmente falsa, dal momento che la battaglia avvenne a chilometri di distanza dalle piramidi, e quindi ben oltre la gittata di qualsiasi pezzo d’artiglieria dell’epoca, serve solamente a mostrare Napoleone come un barbaro ignorante che, per un attacco di megalomania, fa cannoneggiare un importante vestigio del mondo antico. Lo stesso Napoleone che, quando arrivò dinanzi alle piramidi, disse ai suoi uomini: «Da lassù, quaranta secoli di storia ci contemplano». Il tutto ignorando, volutamente, l’immenso contributo dato dalla campagna napoleonica all’egittologia: basti pensare alla stele di Rosetta, custodita tra l’altro al British Museum di Londra (insieme a fregi del Partenone e molto altro, giusto per ricordare che gli inglesi, in termini di razzie d’arte, ne sanno ben più del generale corso), che venne scoperta dal capitano Pierre-François Bouchard, ufficiale napoleonico. La stele ancora oggi si trova al museo londinese, e ancora oggi il Regno Unito rifiuta di restituirla all’Egitto. Il «barbaro e ignorante» Napoleone, invece, pensò bene di portare con sé nella spedizione un gran numero di studiosi. Ma, per il regista albionico, era controproducente raccontare la verità su questo tema.
La «trappola» degli stagni ghiacciati di Austerlitz: oltre al fatto che ad Austerlitz, sì, c’era la neve (era pur sempre il 2 dicembre in Moravia), ma non di certo una tormenta siberiana come viene mostrato nel film, nella pellicola è presente una scena in cui Napoleone fa dirigere il tiro dell’artiglieria su dei laghi ghiacciati su cui i russi e gli austriaci si stanno ritirando disordinatamente, e che annegano quando le palle di cannone rompono il ghiaccio. È una storia in parte vera, ma completamente stravolta già dalla propaganda antinapoleonica dell’epoca (che il film riprende pedissequamente). Anzitutto non fu affatto una trappola escogitata ad arte da Napoleone già prima dell’inizio dei combattimenti (egli era solito rispondere, a chi gli chiedeva come si prepara un piano di battaglia, con un semplice e fulminante «si comincia e poi si vede»); fu piuttosto un evento persino marginale dello scontro e dovuto quasi alla casualità. Inoltre, non si trattava di enormi laghi, come appaiono nel film, ma di stagni neanche molto profondi, e l’episodio coinvolse circa duecento uomini e una ventina di cavalli, non di certo tutto l’esercito austro-russo in rotta. In varie epoche gli stagni di Austerlitz sono stati dragati e quello che i ricercatori hanno trovato ammonta a diversi cannoni abbandonati dagli austriaci e dai russi, scheletri di cavalli e pochi scheletri di uomini. Il fatto che Napoleone abbia fatto annegare crudelmente un intero esercito nemico in rotta è semplicemente una leggenda della propaganda della coalizione antifrancese, unicamente al fine di alimentarne la falsa fama di condottiero crudele e spietato.
L’incontro tra Napoleone e Wellington dopo la battaglia di Waterloo: l’Imperatore non ha mai incontrato il generale inglese. L’unico motivo per cui Scott raffigura questo incontro mai avvenuto è di permettere al duca di Wellington di umiliare verbalmente Napoleone, a coronamento dello spocchioso senso di sicurezza e superiorità proprio dell’alto ufficiale britannico, sia di quello reale che di quello mostrato nel film.
Propaganda vista e rivista
Come abbiamo detto all’inizio, Napoleon è un film di propaganda antinapoleonica e, giova ripeterlo, della peggior specie. E non solo per tutti gli errori più o meno gravi, tesi unicamente a mettere l’Imperatore in cattiva luce. Il film vuole umiliare Napoleone fino in fondo, non tanto come personaggio storico, bensì come persona. La pellicola è in gran parte incentrata sulla turbolenta storia d’amore tra l’Empereur e Giuseppina, ma la questione è a tal punto centrale nel film, che sembra quasi che Bonaparte non faccia nulla se non in funzione della donna amata. Ecco, forse in questo il film è persino peggiore della propaganda inglese antibonapartista. Tale propaganda, infatti, descriveva certamente Napoleone come un megalomane, un pallone gonfiato, un parvenu e un tiranno, ma quantomeno riconosceva in lui un grande uomo, anche se terribile e mosso dall’ambizione, che prendeva l’iniziativa. Nel film, invece, non accade neanche questo. Per tutta la durata della pellicola, Napoleone viene presentato come privo di volontà propria: quando diventa comandante della piazza di Parigi durante l’insurrezione legittimista, ciò avviene grazie al favore di Barras; quando torna dall’Egitto lo fa perché ha scoperto che Giuseppina lo tradiva; quando ordisce il colpo di stato del 18 brumaio lo fa perché il fratello Luciano lo spinge a farlo; e via discorrendo. Napoleone, in tutto il film, non compie mai nulla di propria iniziativa.
Che questo film sia propaganda inglese si vede anche da un altro elemento. Il regista racconta solo due vittorie di Napoleone, e le liquida in poco tempo: l’assedio di Tolone e la battaglia di Austerlitz. Non c’è il minimo riferimento ai brillanti successi della campagna d’Italia, né alle schiaccianti vittorie di Jena e Auerstedt sull’esercito prussiano, e anche la campagna spagnola è completamente ignorata. L’aspetto militare del film è perlopiù concentrato sulle sconfitte di Napoleone: la campagna di Russia e, soprattutto, venti minuti di scena sulla battaglia di Waterloo, peraltro raccontata in modo molto selettivo e, appunto, propagandistico: dal duca di Wellington tanto sicuro di sé da sembrare un generale americano della seconda guerra mondiale in un film di Hollywood degli anni ’50 (gli mancavano giusto i Ray Ban neri a goccia e il sigaro in bocca), fino alla liquidazione sbrigativa del ruolo dei prussiani nello scontro, che logorarono a lungo le riserve francesi subendo perdite gravissime, permettendo così alle truppe di Wellington di resistere all’assalto finale. Una battaglia che, dal punto di vista militare, non cambiò poi molto, ma sulla quale gli inglesi da sempre si gonfiano d’orgoglio, ricordando quella volta che sconfissero Napoleone dopo essere stati umiliati per quindici anni dall’Imperatore. Insomma, è difficile quantificare il livello di propaganda di questa pellicola. Durante i titoli di testa e i titoli di coda non sarebbe stato strano se il regista avesse inserito la bandiera britannica e la canzone patriottica inglese Rule Britannia, giusto per non lasciare spazio a dubbi sulla parte da cui si schiera Ridley Scott. E chi prova a difendere il film sostenendo che «è visivamente spettacolare» è espressamente in malafede: con 200 milioni di budget, la qualità tecnica del film non è un pregio, ma una conditio sine qua non.
Enrico Colonna