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Liam Gallagher il figlio dell’inutilità poetica degli anni ’90

by Lorenzo Cafarchio
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22_2008liamgallagheroasisdc080911-heroManchester, 21 set – Fuck Oasis. Burnage, quartiere di Manchester, periferia di quel che resta della rivoluzione industriale con i piedi immersi nell’Inghilterra multirazziale ed oggi rinverdita dal Brexit. Alle porte dell’autunno 1972,  in una Gran Bretagna insanguinata dai fatti del Bloody Sunday, nasceva quello che sarebbe diventato l’anima degli stramaledetti Oasis, Liam Gallagher. Un’infanzia difficile, lontano dalla musica, immerso nell’irriverenza di un’adolescenza mai totalmente terminata. La svolta, nel 1988, ad un concerto degli Stone Roses e la consapevolezza – acquisita nel volgere di pochi brani – che il suo futuro sarebbe stato su di un palcoscenico, con le mani dietro la schiena, le gambe leggermente divaricate ed il tronco sporto in avanti sussurrando al microfono. Un microfono a cui mormorare l’inutilità poetica degli anni ’90.

Un solo punto di riferimento i Beatles, in particolare John Lennon. I capelli, gli occhiali, le movenze meno quell’attitudine Imagine tanto cara ai sinistronzi della musica d’etichetta. Lennon che apre, Lennon che chiude. I’m outta time, tratto dall’album Dig Out Your Soul ultimo disco firmato Oasis, in cui Liam saluta e prende un’altra strada. “Here’s a song/It reminds me of when we were young/Looking back at all the things we’ve done/You gotta keep on keepin’on” (“Ecco una canzone/Mi ricorda di quando eravamo giovani/Guardando indietro a tutte le cose che abbiamo fatto/Devi continuare a tenere duro”). Ed alla fine un giradischi ed il timbro vocale del cantautore di Liverpool. Un commiato che parte dal 1994 quando un’imberbe, dedito al vizio e all’ozio del sussidio di disoccupazione, lancia insieme al fratello Noel, Paul McGuigan e Tony McCarroll il disco Definitely Maybe. Musica che diventa spartiacque per stile, presenza ed arroganza.

Il manifesto dell’epoca è Cigarettes & Alcohol, nichilismo puro, il mondo in mano e non sapere che farsene. Il verso fatto agli Who – Imagination – e quella voglia di bruciarsi prima del tempo, anche con le droghe. “You might as well do the white line” (“Potresti anche farti una striscia bianca”). Nello sfacelo della mente e del fisico, nella gloria ruggente dei vent’anni di un uomo, le note che accarezzano le parole di Louis-Ferdinand Céline o di uno dei suoi migliori figli Chuck Palahniuk. “To find yourself a job when there’s nothing worth working for?/It’s a crazy situation/But all I need are cigarettes and alcohol” (“Trovare un lavoro per il quale non vale la pena lavorarci?/E’ una strana situazione/Ma tutto quello di cui ho bisogno sono sigarette e alcool”). In fondo non si smette mai di fare un mea culpa per essere “la canticchiante e danzante merda del mondo”. Neanche quando tutti vogliono un pezzo della tua anima e tu gliela getti dal pulpito della tua boria.

Alla fine, anche all’alba dei suoi 44 anni e con un disco da solista in uscita nel 2017, Liam Gallagher rimarrà quel ragazzo a cui chiedendo quale sono le dieci cose al mondo che più odia, risponderà sempre: “Le 10 cose che odio di più? Il Manchester Utd. Il Manchester Utd. Il Manchester Utd. Il Manchester Utd. Il Manchester Utd. Il Manchester Utd. Il Manchester Utd. Il Manchester Utd. Il Manchester Utd. Il Manchester Utd”. Viva gli Oasis. Fanculo gli Oasis.

Wonderwall e Man City chetelodicoafare.

Lorenzo Cafarchio

 

 

 

 

 

 

 

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2 comments

Maurizio 21 Settembre 2016 - 7:27

a quando un articolo sui Gallagher di Newcastle?Since 1974 😀

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Rodolfo 10 Giugno 2019 - 3:49

Inutilità poetica degli anni 90??? Ma che cazzo dici???

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