Roma, 4 giu – Quando la libertà individuale si scontra con la sicurezza di un popolo, di una nazione o di una comunità, l’epilogo è sicuramente dei peggiori, poiché il bilanciamento tra i due interessi in gioco è operazione delicatissima. Si avverte da più di un decennio, in particolare dopo l’attentato dell’11 settembre del 2001, una espansione del bisogno di sicurezza, e certo è che tale bisogno richiede sempre più frequentemente risposte a livello sovranazionale, una sorta di collaborazione tra Stati per far fronte a quello che ormai è un nemico del mondo occidentale: il terrorismo islamico.
Tuttavia, diversamente dal principio di libertà, che ha visto crescere il proprio valore grazie alle istanze di matrice liberale dell’800, la sicurezza non è mai neanche stata menzionata nelle carte costituzionali, nonostante qualche sporadica eccezione, giustificata esclusivamente dalla influenza della concezione contrattualistica dello Stato di matrice Lockiana secondo la quale il sovrano è garante della pace all’interno dei confini statali. Punto nodale della questione è che la protezione della libertà sposta le decisioni sugli individui, quello della sicurezza tende a trasferire il fulcro della stessa sulla autorità statale. Se lo Stato, a livello giuridico e dunque a livello fattuale tendesse a dare prevalenza alla comunità anziché all’individuo ci sarebbero norme di sicurezza più concrete. Non si dovrebbe aspettare che il jihadista del giorno salga su un furgone e faccia una strage di civili: il dilemma sarebbe risolto in nuce, impedendo a questi soggetti di entrare nei nostri confini.
Nell’odierna società del rischio non si potrebbe mai penetrare sul terreno delle libertà fondamentali: non c’è una gerarchia soggettiva all’interno delle libertà fondamentali: tutti ne dobbiamo godere allo stesso modo, nessuno può privarcene. Qui è il punto focale della questione: dal dopoguerra ad oggi sono stati elargiti diritti e privilegi in tutti i testi fondamentali dei vari Stati e in tutte le Carte sovranazionali. Lo Stato non protegge più la comunità come gruppo, è posto prima il diritto del singolo e dell’individuo: quello dell’immigrato di turno di entrare senza alcun controllo e di radicalizzarsi all’interno dei nostri territori. La sicurezza implica una difesa fisica da attacchi esterni, ma soprattutto una difesa spirituale: nella nostra civiltà occidentale non può più perpetrare la paura né si può permettere che le famiglie con i loro figli vivano senza la certezza che lo Stato li stia proteggendo. All’interno delle strade, nelle piazze, nei ristoranti, non ci può essere il perenne timore che qualcuno sia alla porta pronto a lanciare un ordigno. Quindi le soluzioni dovrebbero essere rivolte in primis alla prevenzione: la chiusura dei confini e dunque la limitazione delle libertà fondamentali di chi in qualche modo potrebbe mettere in serio pericolo la nostra sicurezza in questo determinato momento storico è fondamentale per la risoluzione del problema. La conservazione della civiltà europea, e quindi la salvaguardia da un potenziale pericolo di insinuazione del fondamentalismo islamico, deve essere giuridicamente concepita come bene primario rispetto all’umanitaria solidarietà nei confronti dei potenziali jihadisti che sbarcano sulle nostre coste o si trovano qui da decenni. E di certo, ancor di più ora, concedere la cittadinanza tramite l’approvazione dello Ius Soli sarebbe un suicidio premeditato.
Se si concepisse a livello costituzionale un diritto alla sicurezza, vi sarebbe un obbligo di protezione gravante sui poteri pubblici. Tale compito, dato che l’attività di prevenzione ormai si può dire sacrificata visto che i potenziali terroristi si trovano già nei nostri confini per colpa della relazione politico-economica, tra istituzioni sempre più lontane dallo scopo di mantenimento della res publica, cooperative e ONG, potrebbe essere attuato su un piano più pratico e, ahimè, posteriore attraverso la cooperazione degli Stati Europei. Esiste dal 1995 la OSCE, “Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa” che però ovviamente a livello pratico è veicolata al rispetto di tutti i diritti dell’Uomo presenti nelle varie Convenzioni e nei vari Trattati: è un organo burocratico in fase di perenne stallo e non un organo interforze per la tutela della sicurezza. In ogni caso una cosa è chiara: fino a che non ci libereremo dalla concezione individualista del soggetto non potremo parlare di sicurezza all’interno dello Stato: oggi la libertà dei jihadisti vale più della sicurezza della nostra comunità.
Giacomo Belisario