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“L’ira di Dio”: il nuovo grande romanzo della baronessa DiQuattro

by Tommaso de Brabant
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L'ira di Dio

Roma, 27 apr – L’ira di Dio parte in Sicilia, fine del Seicento: Bernardo è l’infelice cadetto (e in quanto tale destinato al sacerdozio) d’una famiglia dell’aristocrazia del Val di Noto, i baroni L’Arestia Corbara. In conflitto con la madre fanatica religiosa e il di lei confessore, è legato da profondo affetto al fratello maggiore, il paralitico Eligio; ha due solo amici, padre Costante e il chierichetto Gasparino, ed è inviso ai fedeli per la sua relazione con la povera Tresina. La raffica di terremoti che, a partire dal 9 gennaio 1693, devasterà la zona porterà uno sconvolgimento anche nella vita di padre Bernardo: facendo rinnovare, oltre ai paesi del ragusano, il rapporto del sacerdote (coatto) con i suoi pochi affetti, con i suoi tanti rancori, e con la fede.

Una storia immaginaria… o forse no

La dinastia di padre Bernardo è immaginaria, così come lo è lui e lo sono i comprimari del romanzo; sono invece accadimenti realmente accaduti quelli del doppio terremoto che nel 1693 devastò il Vallo di Noto, e la ricostruzione dei suoi paesi attorno a celebri opere del Barocco siciliano.

L’Autrice: romanziera e direttrice di teatro

Nobildonna ragusana, Costanza DiQuattro affianca all’attività da poligrafa quella, assieme alla sorella Vicky, di direttrice teatrale (hanno rilevato a Ragusa Ibla il Donnafugata, un tempo magazzino di caciocavallo, tramutato due secoli fa in saletta da cento posti): L’ira di Dio è il suo sesto libro in cinque anni.

La spiritualità di L’ira di Dio

Presentato con un lungo tour cominciato, assieme a Giacomo Poretti (un duetto tutt’altro che inatteso, e non solo perché si tratta di due firme di punta di Baldini e Castoldi), a Milano da Rizzoli, L’ira di Dio è un romanzo coraggioso e originale: tratta di religione in un momento storico nel quale l’argomento è, ricorrendo a un eufemismo, marginale. L’approccio di Costanza DiQuattro, cattolica praticante dichiarata, non è però una presa di partito: non fa prediche né tantomeno proseliti (per quanto nel momento in cui scriviamo il solo scrivere di religione da un punto di vista, per l’appunto, religioso sia un atto di coraggio – e quindi un atto di fede). La storia di Bernardo è, con tutta l’esagerazione delle sue vicissitudini, una storia semplicemente, anche bassamente umana: l’Autrice la racconta senza pudori e senza aure angeliche (a parte l’insistente descrizione delle grazie di Bernardo e Tresina, ridondante e un po’ stucchevole, come quella dei loro congiungimenti). Ambientata nell’epoca dell’arte barocca (molto intelligente la scelta di avvolgere la copertina nel “San Giuseppe carpentiere” di Georges de la Tour), la vicenda narrata dalla DiQuattro è infatti un continuo alternarsi di chiaroscuri: sprofondamenti e risalite, lutti e gioie, blasfemia e devozione, peccato e fede ritrovata; dall’altezza della cultura – teologica e artistica – che ha ispirato, oltre al legame fortissimo con la sua Sicilia, la DiQuattro, alla “bassezza” delle vicende umane, concrete, terrene sconvolte dal terremoto: i ritratti più belli infatti sono quelli dei quattro parrocchiani rimasti fedeli al “sulfureo” padre Bernardo, e quello del priore degli agostiniani.

Proprio Sant’Agostino è, con la sua Città di Dio, l’ispiratore della rinascita di Bernardo (e del Val di Noto) e del romanzo di Costanza DiQuattro, scrittrice di grande intelligenza, penna colta e raffinata, voce preziosissima e unica nel romanzo italiano contemporaneo.

Tommaso de Brabant

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