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Trento, Genova, Novara, Region e Lombardia, poi Firenze e Arezzo, in “forse” anche Pompei. Fioccano i no al patrocinio dei Gay Pride 2018. Molte parate dell’orgoglio omosessuale non saranno sostenute dalle giunte delle città dove l’Onda farà tappa: una decisione presa da amministratori sia di centro-destra sia centro-sinistra. Per tutti vale la stessa motivazione: non è una manifestazione istituzionale e veicola messaggi non condivisi dalla comunità. Anzi la divide.
Se non sorprendono i no arrivati dagli amministratori di centro destra, a stracciarsi le vesti sono stati quelli delle città targate PD che sui diritti civili ha campato un’intera legislatura.
Il primo sindaco a rompere l’omertoso muro del political correct è stato Ugo Rossi primo cittadino di Trento motivando che il Gay Pride “è un evento folcloristico ed esibizionistico”. Poi quello di Genova, Marco Bucci di centrodestra ha deciso di non concedere il patrocinio per manifestazioni per cui, in passato parte della popolazione si è sentita offesa. A seguire il sindaco di Novara Alessandro Canelli, leghista schietto, ha detto che non darà né patrocinio nè collaborazione economica e organizzativa perché ritiene la parata una manifestazione simbolico-folkloristico che non apporta il giusto contributo al problema ed è un’inutile ostentazione. Idem il Governatore della Lombardia, Attilio Fontana che ha spiegato: «Io sono eterosessuale, ma non è che faccio una manifestazione per accreditare la mia eterosessualità. Le scelte in questo campo devono rimanere personali, sbandierarle è sbagliato. Il Gay Pride è divisivo e quando le manifestazioni sono divisive non sono mai da sostenere». Dario Nardella, sindaco di Firenze, ha negato anche quest’anno il gonfalone regionale mentre il sindaco di Arezzo Alessandro Ghinelli di Forza Italia lo scorso anno aveva preparato un “decalogo” dei “limiti di accettabilità dentro i quali i partecipanti avrebbero dovuto attenersi e contenersi.
Esistono poi sindaci che si sperticano nella promessa che i Gay Pride rappresentino per le città ospitanti l’occasione per positive ricadute economiche: nel 2016 l’allora sindaco di Treviso, “città cortese” nel patrocinale il Pride, rassicurò i commercianti sull’indotto che avrebbe generato l’evento. Le associazioni dei commercianti, ben contente di fare due caffè in più si erano organizzate per accogliere l’onda LGBT. Risultato: moltissime famiglie preferirono defilarsi dalla città che risultò semi deserta.
Antonietta Gianola
Se non sorprendono i no arrivati dagli amministratori di centro destra, a stracciarsi le vesti sono stati quelli delle città targate PD che sui diritti civili ha campato un’intera legislatura.
Il primo sindaco a rompere l’omertoso muro del political correct è stato Ugo Rossi primo cittadino di Trento motivando che il Gay Pride “è un evento folcloristico ed esibizionistico”. Poi quello di Genova, Marco Bucci di centrodestra ha deciso di non concedere il patrocinio per manifestazioni per cui, in passato parte della popolazione si è sentita offesa. A seguire il sindaco di Novara Alessandro Canelli, leghista schietto, ha detto che non darà né patrocinio nè collaborazione economica e organizzativa perché ritiene la parata una manifestazione simbolico-folkloristico che non apporta il giusto contributo al problema ed è un’inutile ostentazione. Idem il Governatore della Lombardia, Attilio Fontana che ha spiegato: «Io sono eterosessuale, ma non è che faccio una manifestazione per accreditare la mia eterosessualità. Le scelte in questo campo devono rimanere personali, sbandierarle è sbagliato. Il Gay Pride è divisivo e quando le manifestazioni sono divisive non sono mai da sostenere». Dario Nardella, sindaco di Firenze, ha negato anche quest’anno il gonfalone regionale mentre il sindaco di Arezzo Alessandro Ghinelli di Forza Italia lo scorso anno aveva preparato un “decalogo” dei “limiti di accettabilità dentro i quali i partecipanti avrebbero dovuto attenersi e contenersi.
Esistono poi sindaci che si sperticano nella promessa che i Gay Pride rappresentino per le città ospitanti l’occasione per positive ricadute economiche: nel 2016 l’allora sindaco di Treviso, “città cortese” nel patrocinale il Pride, rassicurò i commercianti sull’indotto che avrebbe generato l’evento. Le associazioni dei commercianti, ben contente di fare due caffè in più si erano organizzate per accogliere l’onda LGBT. Risultato: moltissime famiglie preferirono defilarsi dalla città che risultò semi deserta.
Antonietta Gianola
4 comments
….si ”spera” che i commercianti riescano nell’ardita impresa di riuscire a comprendere che esistono anche altri ”valori” ben più importanti..
Combattere la patologia dell’omosessualità. Come del resto avviene in tutto il mondo non occidentale.
Non credo sia un ravvedimento morale o politico, ma come fatto notare al termine dell’articolo un semplice calcolo economico. Vista la perdita legata alle famiglie e quanti si sentono giustamente offese da certi spettacoli degni di Sodoma alla luce del sole (fortunamente ancora la maggioranza della popolazione) preferiscono rinunciare all’indotto legato alla minoranza rumorosa e prepotente delle lobby omosessuali ed affini.
[…] con fonte Il Primato Nazionale […]