Roma, 9 mar – “I personaggi letterari hanno il diritto di parlare in maniera scorretta, perché non rispecchiano necessariamente le intenzioni dell’autore”. È questa la riflessione di Nadia Terranova, autrice della prefazione alla raccolta completa dei libri su Mary Poppins, sulla recente decisione di riclassificare il film Disney come “vietato ai minori di 12 anni non accompagnati” per via del suo “linguaggio discriminatorio”.
Mary Poppins e il woke
La scrittrice punta il dito contro l’ennesima censura del politicamente corretto che, ancora una volta, colpisce i grandi classici Disney. Gli stessi che hanno fatto sognare intere generazioni. Terranova dichiara una certa “sfiducia nei confronti delle possibilità dei bambini di distinguere tra realtà e finzione”. Le opere d’arte, sostiene l’autrice, non possono e non devono essere modificate in base alle mutevoli sensibilità del tempo. “Senza bisogno di leggi “, osserva, “abbiamo già eliminato fiabe come ‘Barbablù’ perché associate al femminicidio. Eppure, il mondo è pieno di espressioni come quella che ha dato fastidio in ‘Mary Poppins‘”. L’ autrice condanna anche l’idea che i bambini debbano essere accompagnati da un adulto per vedere opere dai contenuti controversi. “Chi ci dice che l’adulto darà la corretta interpretazione?”, si chiede. “L’avviso di visione con accompagnamento serve solo ai grandi per lavarsi la coscienza, ma non ha alcun senso nel mondo dei bambini”. La letteratura, conclude Terranova, “non è un territorio di affermazione del giusto, ma un terreno di rielaborazione della realtà “.
La Disney prosegue nella “marcia progressista”
Ma cosa ha spinto la Disney a fare questa ennesima crociata in nome del politicamente corretto? La risposta sta nel linguaggio considerato “discriminatorio”. Precisamente la parola incriminata dalla commissione BBFC è “ottentotti”, termine dispregiativo storicamente usato dai colonialisti europei per riferirsi al popolo Khoikhoi in Sud Africa. Un epiteto usato per ben due volte dall’ ammiraglio Boom interpretato dall’attore Reginald Owen.
Una volta chiede a Michael, uno dei bambini protagonisti, se sta partendo per un’avventura per “sconfiggere gli Ottentotti”; successivamente l’ammiraglio vede degli spazzacamini con la faccia coperta di fuliggine e grida “siamo attaccati dagli Ottentotti” lanciandogli contro fuochi d’artificio. Una parola politicamente scorretta al punto da portare il film con protagonista una magica tata, interpretata dalla bella Julie Andrews, alla categoria con bollino arancione PG (parental guidance). Un declassamento che porta i bambini al di sotto di otto anni ad essere accompagnati alla visione dai genitori.
Ma il termine “ottentotti” è davvero da bollino arancione o andrebbe semplicemente contestualizzato senza fare il solito e imbarazzante teatrino, tipico del colonialismo woke? Se si analizza il personaggio, infatti, ritornano in mente le parole di Nadia Terranova ” I personaggi letterari hanno il diritto di parlare in maniera scorretta, perché non rispecchiano necessariamente le intenzioni dell’autore”. Boom, infatti, è un anziano ammiraglio della Marina nei primi anni del Novecento – epoca in cui è ambientata la storia – di conseguenza il suo personaggio rappresenta una tipologia di anglosassone conservatore e colonialista.
Una descrizione alla quale va aggiunto un particolare non certo di poco conto, ossia il tono fintamente autoritario con cui l’ammiraglio pronuncia le battute e la descrizione più caricaturale che realistica del personaggio. Dettaglio che, a quanto pare, è sfuggito alla BBFC, visto che ha rilasciato un commento ufficiale al declassamento da U a PG di Mary Poppins: “Dalle nostre ricerche sul razzismo e sulla discriminazione comprendiamo che una preoccupazione fondamentale per i genitori è la possibilità di esporre i bambini a un linguaggio o a un comportamento discriminatorio che potrebbero trovare angosciante o ripetere senza rendersi conto del potenziale reato”.
Gli altri casi
Ma Mary Poppins non è l’unico classico Disney ad essere finito nella ghigliottina del politicamente corretto. Infatti, mentre Mary Poppins scendeva da U a PG, Rocky di John Avildsen e Flash Gordon di Mike Hodges scendevano da PG a 12 A (film non adatti a chi ha meno di 12 anni e nel caso accompagnati alla visione da un genitore). “È Il risultato dei cambiamenti della società”, hanno spiegato dalla commissione. Sono stati citati, per il declassamento, la “violenza moderata, il linguaggio, i riferimenti sessuali e gli stereotipi discriminatori” di Flash Gordon – un film di fantascienza dal tono leggero e scanzonato – e agli abusi domestici in Rocky.
Eppure, negli ultimi quarant’anni, milioni di bambini, tra gli 8 e i 12 anni, hanno visto questi due film, avulsi dal bon ton in salsa politicamente corretta, senza un genitore accanto, e non sembra proprio che siano cresciuti milioni di violenti dalla mente perversa. Un mistero al quale la BBFC non sembra abbia dato risposta. Ma andiamo negli anni passati, dove il colonialismo woke ha tagliato altre teste che hanno scritto la storia del mondo Disney e accompagnato l’infanzia di intere generazioni. Infatti, qualche anno fa, la multinazionale statunitense sulla sua piattaforma di streaming DisneyPlus, ha messo il “bollino rosso” a tre classici dell’animazione, eliminandoli dalla visione per i minori di sette anni.
Ebbene sì, prima della tata che ogni famiglia vorrebbe avere, la censura politicamente corretta ha toccato Dumbo, Peter Pan e Gli Aristogatti. Cambiano le teste tagliate ma non il motivo. Infatti, anche in quel caso, la Disney aveva bollato i tre classici come discriminatori e razzisti. Nel disclaimer dei film si legge che i programmi in questione includono “rappresentazioni negative e/o denigratorie di popolazioni e culture. Questi stereotipi – viene spiegato dalla Disney – erano sbagliati allora e lo sono ancora. Piuttosto che rimuovere questo contenuto, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da esso e stimolare il dibattito per creare insieme un futuro più inclusivo”.
Strano ma vero, nel caso di Dumbo, ad esempio, ci sarebbe una canzone che manca di rispetto agli schiavi afroamericani, rappresentati per mezzo dei corvi neri. Peter Pan, invece, ha un epiteto razzista verso i nativi americani, perché chiamati “pellerossa”. Infine, il classico degli Aristogatti sarebbe irrispettoso verso i popoli asiatici, per via del gatto siamese Shun Gon, rappresento con i denti sporgenti, gli occhi a mandorla e ripreso mentre suona il pianoforte con le bacchette.
Un caso simile si era verificato col film d’animazione “Lilly e il Vagabondo”, dove, infatti, i gatti siamesi sono “magicamente scomparsi”. Stando così le cose, non dovrebbe sorprendere se, prossimamente, finiranno sulla gogna altre opere della Disney come Der Fuehrer’s Face (1943), corto vincitore di un Premio Oscar per il miglior film d’animazione. Protagonista è Paperino che si ritrova nel ruolo della recluta dell’esercito del Reich, in una vita dura e faticosa tra spolette da montare al grido di «Heil Hitler» e passi del Mein Kampf da mandare a memoria.
Oppure Ti sogno California (1945), un corto alla conquista del West con Pippo come protagonista. Qui i nativi americani sono rappresentati come delle macchiette, quando, in realtà, furono vittime di un vero e proprio genocidio. Non è da escludere da una probabile censura woke anche “Un regalo per Paperina” (1946). Qui Paperino, per regalare una pelliccia tutt’altro che ecologica all’amata, sceglie di immolare un tenero cucciolo di orso, optando per l’impiccagione, ma ovviamente l’impresa è destinata a fallire evitando così il linciaggio animalista.
Da ricordare altresì Domani a dieta! (1951) Qui l’alter ego di Pippo, George Geef, si impegna in un estenuante corpo a corpo con una bilancia intelligente. Che non esita a definirlo «grasso come un porcello». Una frase che nell’era della body positivity e del body shaming è una vera e propria blasfemia. Tra i cortometraggi che rischiano la ghigliottina politicamente corretta c’è anche “Vietato fumare” (1951) L’ animazione, avente come protagonista c’è Pippo/George Geef, tratta di uno dei vizi più attaccati dal politicamente corretto e con tanto di aggravante, visto che a vincere sarà proprio il vizio del fumo.
E, a proposito di vizi, a quanto pare la Disney continua a conservare il vizietto di riadattare grandi classici alla chiave di lettura woke. Tutto ciò, nonostante questa ideologia abbia portato alla Disney più perdite che guadagni, basti pensare che lo scorso giugno, l’analista di incassi Valliant Renegade ha calcolato che la compagnia ha subito perdite significative, superando i 900 milioni di dollari nei suoi ultimi otto film in studio. Tra questi figurano ‘Lightyear’, ‘Thor: Love and Thunder’, ‘Doctor Strange nel Multiverso della Follia’, ‘Black Panther: Wakanda Forever’, ‘Ant-Man and the Wasp: Quantumania’, ‘La Sirenetta’ e ‘Elemental’. Che dire, sbagliare è umano, perseverare è diabolico
Nemes Sicari