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Mike Maignan e il razzismo inventato

by Stelio Fergola
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Maignan razzismo

Roma, 22 gen – Mike Maignan vittima di razzismo durante la partita Udinese-Milan dell’altro ieri. O meglio, questo è il solito teatrino, che sconvolge gli stadi negli ultimi vent’anni. Azioni di tifosi improntate allo sfottò dell’avversario – e anche all’insulto sia chiaro, ma non certo di interesse razzista – che diventano di improvviso casi di discriminazione. Con le stesse caratteristiche dei precedenti – sia altrettanto chiaro – ma ora con una nuova connotazione del tutto arbitratia da parte di stampa e in generale “sistema culturale”.

Maignan, il razzismo e i “buu” diventati scimmieschi per magia

Quando giocavo a pallone da ragazzino, il buu era un attacco ricorrente. Veniva indirizzato costantemente nei riguardi degli avversari, qualsiasi essi fossero. Avversari, esattamente come i membri della propria squadra, tutti caucasici. I “buu” si leggevano perfino su “Topolino”, quando in qualsiasi storia vi possa venire in mente c’erano ragioni di rivalità (magari potevano essere proprio Qui, Qui e Qua a pronunciarli, se il loro Zio Paperone entrava in competizione con lo storico rivale Rockerduck per qualsiasi ambito). All’improvviso, da una ventina d’anni, non si capisce come, i “buu” sono diventati associazioni scimmiesche. Ovviamente nelle partite di calcio e altrettanto ovviamente nei riguardi dei calciatori di colore scuro. In questo caso, addirittura da parte dei sostenitori della “signora Udinese”, una società che solo negli ultimi anni ha avuto in rosa una media dell’80% di calciatori stranieri di cui almeno 4 di colore nero titolari. Qualcuno ha osservato: “I tifosi sono scemi, se i calciatori di colore sono nella tua squadra va bene altrimenti sono scimmie”. Il che, però, non si capisce come dovrebbe costituire una forma di “razzismo”. Se sono scimmie sono scimmie sempre, altrimenti lo stesso giudizio di valore “scimmiesco” perdere un’oggettiva caratterizzazione razziale.

Nella mia memoria è ancora presente il “caso” di Balotelli vittima di razzismo prima ancora di Maignan vittima di razzismo. Una vecchia storia, contestata da un popolare striscione di diversi anni fa dal testo piuttosto esplicito: “Balotelli non farti illusioni, anche bianco ci staresti sui coglioni”. Ma nell’ultima versione – che ovviamente puntava tutto sul “buu” diventato da vent’anni scimmiesco mentre il sottoscritto se lo sentiva urlare addosso quando aveva 15 anni, pur essendo bianchissimo come il latte – erano i tifosi del Verona ad aver discriminato il prode Mario, nell’anno 2019, in occasione della partita con il Brescia dove militava il nostro. Maurizio Pistocchi su Twitter addirittura tentò di dare una “prova scientifica” del razzismo suddetto, postando un video su Twitter che mostrava quanto segue: una serie di tifosi in curva che urlano “Balotelli”, una massa che esprimeva non si capisce quale coro, e una – contata, una – persona che faceva “buu”. Quel caso non ebbe sviluppi, strano. Per non parlare di un caso precedente in cui ci si lamentò di uno striscione con su scritto “Mario hai ragione, sei un africano”. Considerazione oggettiva di un dato di fatto. Archiviato pure quello. Ri-strano.

Il ragazzo ci casca (o se ne approfitta) come è naturale che sia

Dal canto suo, Maignan scatena un putiferio ed è normale che sia così. Si arriva in Italia, il mondo mediatico intero ti bombarda di messaggi sui “buu” associati alla scimmia, nella migliore delle ipotesi ci credi e nella peggiore cavalchi l’onda, per così dire. Come è normale che il “buu” possa assumere a questo punto davvero connotazioni discriminatorie, dal momento che si è inventato di punto in bianco (senza che nessuno si offenda per il colore) che lo sia e le generazioni future lo percepiranno così, nonostante il punto di partenza sia una buffonata. E così il portierone rossonero arriva a coinvolgere tutti: tifosi, Udinese, perfino Procura. “Siete tutti complici”, dice. Ma complici di cosa, caro Mike? Di un insulto d’attacco che si vede sugli spalti da che esiste il gioco del calcio? E che si può senz’altro criticare (anche se c’è chi sostiene che offendere i giocatori avversari faccia parte di una non meglio precisata “virilità sportiva” che fa parte del gioco e che lo stadio non possa trasformarsi esattamente in un teatro dell’opera, ma non mettiamo troppa carne al fuoco), ma che si tratta di una componente endemica ben lontana dalla discriminazione improntata al colore della pelle o della provenienza? Ci sarebbe almeno da rifletterci. Ma questa, purtroppo, è una società che raramente vuole farlo.

Stelio Fergola

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