La morte di Bernardo Provenzano ci riporta ancora una volta nel paese siciliano, a parlare di mafia. E di 25 aprile in questo caso. Il riferimento alla ‘liberazione’ fatto da Lea Savona colpisce per la sua contraddizione, ma forse è un tassello che non stona nel mosaico di antimafia ambigua, di inchini negati e costituzioni in giudizio mancate. La contraddizione del paragone sta nella storia, in quello che è successo: ovvero nel fatto che la mafia, in Sicilia, ci è tornata proprio grazie agli americani, ai ‘liberatori’. Durante il Fascismo le cosche avevano visto restringere la propria influenza e subito la repressione di uno Stato che aveva capito una cosa semplice: dove mancava lui si creava l’anti-Stato, il governo parallelo dei mafiosi. Quella pagina si è chiusa proprio con la Seconda guerra mondiale, con il 25 aprile del 1945. Anzi, ancor prima, con lo sbarco americano in Sicilia nel 1943, avvenuto grazie alla collaborazione di Lucky Luciano e di quelle costole di mafiosi che il Fascismo aveva costretto alla fuga negli Stati Uniti. Gli americani hanno così ricostituito un ponte fra la mafia in esilio e ciò che ne rimaneva sull’isola, che si è subito coagulata per assistere le forze alleate dopo lo sbarco, in cambio di una lottizzazione di cariche politiche e amministrative a guerra finita. Così la mafia è tornata ad essere il sangue sporco della Trinacria, il ricatto di un popolo e di una nazione. Affermare quindi che la morte di Bernardo Provenzano è “il 25 aprile di Corleone” è come dire: “Il boss è morto. Viva il boss”.
Ettore Maltempo
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