Roma, 16 apr – La mostra in onore a Giovanni Gentile è una folgore. Un lampo che accende i cuori davvero, per usare una parte di espressioni di buonanime impronunciabili, o del truce sarcasmo che dir si voglia. La rassegna, inaugurata ieri e aperta al pubblico da oggi, 16 aprile 2024, fino al 17 luglio prossimo per l’ottantesimo anniversario della morte del più grande filosofo italiano della contemporaneitù, ha puntato su una parola d’ordine: emotività.
Mostra su Gentile, scaldare il cuore per arrivare al popolo
Il fatto che sia sostanzialmente una mostra fotografica dice tutto. Si punta, ovviamente, sulla ricchezza del portato gentiliano nella cultura italiana, qualcosa di effettivamente mai visto nella storia della Nazione, per lo meno dal 1860 in avanti. Dalla fondazione dell’Enciclopedia Treccani, alla Scuola Normale di Pisa, la carriera da ministro dell’istruzione (dal 1929 denominato dell’Educazione nazionale), fino al Centro di studi manzoniani. Un elenco sterminato su cui è impossibile in questa sede approfondire, ma buttato in pista, come si dice in gergo, senza troppi fronzoli dalla mostra. La potenza di Gentile nelle fotografie più rilevanti. Nelle lettere esibite, nella scrivania della Treccani troneggiante e splendente. Un tripudio di pensieri di eredità, di atti d’amore per una Nazione. Unico aspetto lugubre, quello relativo all’assassinio, ovviamente inevitabile per una rassegna che affronti tutta l’esperienza di vita di un personaggio così importante. Ma anche lì c’è una scintilla in grado di emergere: la fotografia dei funerali tenuti a Firenze il 18 aprile del 1944, con una piazza gremita e una sepoltura nella Basilica di Santa Croce che è stata concessa ai più grandi italiani di tutti i tempi, dai tempi di Machiavelli, Michelangelo e Galileo Galilei fino a quelli, da qualcuno perfino sottostimati, dell’immortale Giovanni Gentile.
Non sarà tutto, ma è qualcosa
Come scriveva Marcello Veneziani anni fa, uno dei problemi della Nazione italiana contemporanea è la mitopoietica. Completamente inesistente se si parla di Patria, una bestemmia se in mezzo ci sono pure la parola e il concetto di fascismo. L’aspetto affascinante della mostra su Gentile è precipuamente questo: produce, genera mito. Scatena la dopamina di chi osserva ammirato le fotografie ritraenti il gigante italiano novecentesco, le sue creazioni pedagogiche, la sua visione della Nazione, i suoi dissidi con altri giganti come Antonio Gramsci e Benedetto Croce. Ma anche l’ammirazione che molti di loro nutrivano per lui. Il mito immortale di Gentile mostrato effettivamente per il lascito clamoroso di un uomo che in una ventina d’anni ha scatenato il paradiso della formazione di generazioni intere di italiani, perfino nei decenni successivi al crollo del fascismo e forse anche oltre. Quella scrivania al centro della sala, è emblematica. Quando Gentile fondò non solo una semplice Enciclopedia, ma una “Enciclopedia Italiana”, come sottolinea chi ha studiato il pensatore, l’uomo e il filosofo. Ma anche quella sala di proiezione in cui, con un bel sottofondo musicale incalzante, si riassume la grandezza infinita dell’uomo di cultura. Il suo mito, appunto. Con l’augurio che il messaggio arrivi a più italiani possibili.
Stelio Fergola