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“Negli occhi di Ulisse”: il nuovo album di Sköll all’insegna dell’uomo che combatte

by La Redazione
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Roma, 30 giu – Federico Goglio, in arte Sköll, torna dopo quattro anni dall’uscita dell’ultimo lavoro con un nuovo progetto, l’album Negli occhi di Ulisse. Il sedicesimo disco del cantautore identitario, preceduto dall’uscita dell’omonimo singolo, ci racconta di come la natura insita nell’uomo, dedita alla virtù e al coraggio, rimanga immutabile nei secoli e mostrandoci, attraverso esempi straordinari, la via da percorrere in questa modernità volubile.

Partiamo dal titolo dell’album e del singolo: il personaggio di Ulisse viene presentato fin dall’inizio. Esiste un filo conduttore che lega la figura dell’eroe greco alle tracce del disco? In che modo la sua figura ha contribuito allo sviluppo del progetto?

Questo non è un disco a tema, non avevo intenzione di scrivere un racconto storico. Ormai si tende a dare per scontato tutto ciò che ci circonda, dimenticandoci che le cose a cui diamo valore andrebbero difese in prima persona senza aspettare che vi siano altri a farlo al posto nostro. Pensiamo spesso che “qualcuno lo farà” … ma quel qualcuno siamo noi. La storia di Ulisse non è solamente quella di un’avventura, di un viaggio straordinario costellato di tentazioni, rischi e pericoli – un po’ metafora della vita… come il riuscire in qualche modo, alla fine, nonostante tutto a riportarsi sulla rotta – ma per me rappresenta soprattutto il richiamo di ciò che più abbiamo a cuore, naturalmente, istintivamente, inevitabilmente: la nostra cultura che qui si incarna nella terra, i nostri affetti che con tutta evidenza emergono nella donna che amiamo. È il costante ritorno, l’affermazione di un principio integrale… tanto che, ad un certo punto, nella canzone che dà il titolo al disco, i riferimenti all’amore, alla patria, alle origini si sovrappongono e quasi non si distinguono più tra loro. E, poi, rappresenta l’assunzione di una responsabilità diretta, di un’azione che non si delega ad altri. Il filo conduttore del disco è proprio questo: l’uomo vive e combatte perché è consapevole, perché si assume in prima persona la responsabilità di difendere ciò che più ama, perché non dà nulla per scontato – come facciamo quasi tutti ormai – perché non aspetta qualcuno dopo di lui, al suo posto…

All’interno del disco, il racconto di alcuni esempi di queste virtù naturali dell’uomo attraverso alcuni fatti storici, come la storia del generale confederato Thomas Jonathan “Stonewall” Jackson o quella dei combattenti della X MAS a bordo dei “maiali di mare” durante la II guerra mondiale, si lega a temi riguardanti il ricordo di pagine nere della storia italiana come le “Marocchinate”. Qual’è stata l’esigenza di trattare questi argomenti?

Le storie di ardimento hanno sempre colpito il mio immaginario. Così cerco, a modo mio, di “attraversarle” e poi di trasferirle in versi e in musica… diventano spesso racconti personali, originali, filtrati. Quando ho scritto “La ballata di Jackson Stonewall”, per esempio, ho iniziato da ricordi personali di quando ero bambino, di quando passavo giornate estive a giocare in campagna… e ho immaginato che l’infanzia e la giovinezza di Stonewall, in fondo, fossero state piuttosto simili: da qui ho iniziato a raccontare la sua vita – in pratica attraverso ricordi del mio passato – come se la stesse raccontando un uomo cresciuto con lui, al suo fianco dall’infanzia fino alle giornate di guerra, insieme da ragazzini nei pressi del fiume e da adulti nella sua tenda nel campo di battaglia, fino all’eroismo durante l’avanzata delle truppe unioniste nella guerra civile americana a Bull Run nel luglio del 1861… Stonewall che, suo malgrado, è tornato a far parlare di sé in USA durante i momenti più “telegenici” della farsa della cancel culture, del politicamente corretto: tra le statue vandalizzate dai manifestanti rigorosamente, eroicamente incappucciati (a proposito di assumersi la responsabilità delle proprie azioni) e, poi, prontamente rimosse dalle amministrazioni, ci sono anche le sue. 

Cambiando canzone, ancora il coraggio – quello più consapevole, entusiasta, con connotati tipicamente italiani – torna nelle azioni dei giovani soldati della X MAS che affondavano le navi nemiche in sella ai cosiddetti siluri a lenta corsa dopo giorni di navigazione in solitaria, esempi di virtù raramente eguagliabili; “Corsa lenta” è un viaggio notturno nei grandi porti di Gibilterra e di Alessandria, seguendo i momenti che precedevano l’affondamento delle navi nemiche inglesi. Il tema delle “marocchinate”, invece, è quello più amaro – l’unico “negativo” dell’intero disco – e quello più difficile… ma ho voluto raccontarlo, ancora una volta, per quanto possibile, da un punto di vista “positivo”: la forza e la dignità di un popolo – in particolare, evidentemente, delle sue donne – di fronte alla brutalità animale delle truppe alleate dei goumiers, le cui violenze furono avallate dai cosiddetti liberatori come “diritto di preda”. La storia – anche quella che piace di meno, anche quella che fa riflettere sui “buoni” – va raccontata… qualcuno deve pur farlo.

Un tema particolare viene presentato nella traccia su San Patrignano: in che modo la storia della comunità e, necessariamente, di Muccioli, trova spazio nell’album?

Muccioli è stato un visionario e la comunità di San Patrignano un’avanguardia per la cura e la lotta alla tossicodipendenza. Negli anni, San Patrignano è finita spesso sotto i riflettori, non solo mediatici, probabilmente anche in virtù di un modello, di una visione, mal sopportata dagli ambienti progressisti. Una visione basata sulla comunità come insieme di valori, disciplina, responsabilità, lavoro… in un percorso comune per salvarsi, letteralmente, dalla droga: la comunità sopra ogni cosa con la sua forza che si trasmette all’individuo. In un mondo dove tutto viene relativizzato, dove regnano l’individualismo progressista e la deresponsabilizzazione, e dove tutto viene considerato come un torto della società nei confronti dei singoli, San Patrignano è da sempre sembrato l’opposto. Credo che Muccioli ci abbia insegnato anche questo: attraverso i valori della comunità e della condivisione (fatica e sacrificio, in una strada inevitabilmente in salita), valori che si contrappongono all’individualismo, ci si può salvare.

Dopo quasi venti anni di carriera, secondo te la musica identitaria e non conforme può essere ancora veicolo di valori e virtù? Nonostante la volubilità del mondo di oggi e del settore musicale in particolare.

La musica è un racconto diretto che se nasce dalle emozioni può creare emozioni. Mi ha permesso di esprimere una visione del mondo, talvolta attraverso gli esempi. Nell’appiattimento, nell’omologazione del nostro tempo, io credo che una delle cose più importanti sia provare a fare la propria parte. Ciò che raccontiamo – anche con la musica – da qualche parte resterà, pur nella volubile modernità che ci circonda. Si possono buttare giù tutte le statue del mondo e si può scrollare all’infinito con il pollice su un display, ma la storia – nella sostanza, non nella percezione – non si cambia; resterà sempre quella. Raccontare attraverso la musica è ancora, più di prima, necessario.

Andrea Grieco

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