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Quando nei Paesi arabi i riferimenti ideali erano Mussolini e il fascismo

by La Redazione
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Roma, 23 dic – Negli anni ’30 il fascismo si era esteso nel mondo e gli arabi erano stati colpiti dalla forma nazionalsocialista del termine poiché l’Italia, non essendo ancora antisemita ed avendo annichilito i senussi in Libia, non era un modello da seguire, malgrado Mussolini avesse ambizioni arabofile esteriorizzate nella immagine metaforica della sua “Spada dell’Islam”. Nei Paesi arabi emersero movimenti nazionalsocialisti. In Egitto un avvocato, Hossein, piccolo, magro, astuto, somigliante ad Ante Pavelic, il dittatore croato ustascia e cattolico, aveva costituito nel 1932 le Camicie Verdi del Partito Nazionalsocialista Arabo. Le Camicie Verdi militavano contro la presenza inglese e non tardarono ad avere contatto con i Servizi Segreti dell’Asse per collaborare alla espulsione degli inglesi dall’Egitto. Le Camicie Verdi egiziane erano attive tra la gioventù e un giovane liceale, Gamal Abdel Nasser, si fece manganellare ed arrestare dalla polizia durante una manifestazione. Il gruppo di Ufficiali Liberi di Nasser, Amer Mohieddine e Salah Salem ebbe contatti con Hossein, che internato dagli inglesi durante la seconda guerra mondiale, aveva poi ripreso la sua attività, battezzando il suo partito con il termine tranquillizzante di “Socialista Arabo”.

All’epoca del conflitto di Palestina e poi durante la lunga guerriglia nella zona del Canale di Suez, i commandos “socialisti arabi” parteciparono a operazioni con gli Ufficiali Liberi. All’esplosione della guerra nel gennaio 1952, “La notte dei fuochi fatui”, le Camicie Verdi parteciparono attivamente ai moti che segnarono la fine di re Faruk. La presa del potere da parte dei militari fu accettata con gradimento dai “socialisti arabi”, ma furono disillusi quantunque molti membri del movimento entrarono nei quadri del Raggruppamento Nazionale della Liberazione (prima traccia di un partito unico egiziano, impresa poi venuta meno). Il regime nasseriano si liberò dei socialisti arabi e di altri partiti. L’originale confraternita religiosa dei Fratelli Musulmani, eretta dall’insegnante egiziano Hassan Al Bamrah, aveva alcuni caratteri fascisti ma era più un nazionalismo teocratico e attivista: i Fratelli Musulmani lottavano per la costituzione della Umma (Comunità Islamica), programmata su una base strettamente religiosa guidata dallo slogan: “L’Islam è la nostra Costituzione”.

Nel Libano un insegnante, Antoun Saade, fondò nel 1937 il Partito Popolare Siriano, con lo slogan “Viva la Grande Siria”, il saluto col braccio teso ed una insegna: la croce uncinata in un petalo di rosa. Il PPS era fascista e non confessionale (benché Saade ed i quadri fossero cristiani maroniti) e militava per la costituzione di una Grande Siria che unisca Libano, Siria, Transgiordania, Palestina e Cipro. Il P.P.S. ebbe vita tormentata, come l’ala più radicale della comunità libanese (con gruppi importanti in Giordania, Siria dopo il 1948). Sospettato di lavorare per il SD tedesco, poi per l’Intelligence Service, il PPS sopravvisse alla guerra, sostenne il colonnello Zaim in Siria mentre Saade, consegnato per tradimento al governo libanese dopo un colpo di Stato fallito, fu fucilato nel 1949. Il PPS trovò gloria nel 1958, all’epoca della rivoluzione nasseriana nel Libano. Le milizie del PPS, schierate nel campo filo-occidentale di Camille Chamoun, erano forze uniche che si battevano e di cui disponeva il presidente della repubblica. Dopo il compromesso Karat Chehab, il PPS (ribattezzato Partito Popolare Nazionale) passò all’opposizione. A San Silvestro del 1961, con un colpo di mano, alcuni ufficiali del PPS portarono un battaglione motorizzato verso Beirut per impadronirsi del potere. Ma la guardia presidenziale respinse gli assalitori, annullando i sogni del PPS. Da allora il P.P.S. sopravvisse nella clandestinità. La sua influenza restò nei settori del Medio Oriente. Il re Hussein di Giordania appariva spesso nelle cerimonie ufficiali nel sabato del PPS, i cui quadri di partito erano vicini al potere del “Piccolo Re”. Fazioni meno oltranziste, le Falangi (Kataeb) dei fratelli Gemayel, fondate nella stessa epoca, presentatesi come forza paramilitare a disposizione della cristianità del Libano. All’inizio apertamente fascisti, le Kataeb adottarono un sistema moderato e si schierano nel campo della destra liberale classica, “nazionalista libanese” e molto ostile al panarabismo.

In Palestina, il fascismo arabo ebbe come illustre rappresentante la persona del Gran Muftì di Gerusalemme, El Hadj Amine El Hussein, che organizzò prima del 1939 la lotta contro il sionismo, cercò aderenze con Stati ostili all’Inghilterra ed agli ebrei. Si accordò con il SD tedesco che lo sostenne, senza molto impegno. La guerra mondiale, dopo il fallimento della sollevazione fascista degli ufficiali iracheni nel Quadrato dell’Oro, condusse il Gran Muftì a Berlino dove lanciò un appello alla Jihad (Guerra Santa) contro il giudeo-bolscevismo. Il Muftì fu utilizzato dai tedeschi per la loro campagna di arruolamento tra gli arabi. El Husseini arringò i Waffen-SS musulmani della divisione bosniaca, Handschar, dopo un ammutinamento. Nel 1945 il Muftì andò in esilio in Egitto; gravemente malato, svolse un ruolo lottando contro il dubbioso Choukeiry, prima dell’eliminazione politica dell’ex responsabile dell’Organizzazione di Liberazione Palestinese.

Nell’Africa del nord il fascismo arabo non ebbe alcuna effettiva rappresentanza prima del 1939. Numerosi musulmani erano membri, nella madrepatria della Solidarietà Francese o del Partito Popolare Francese. Durante l’occupazione, l’Hohere SS Und Polizei Fuhrer Oberg approfittò di questo campo di reclutamento già trovato per organizzare una Legione nord-africana (comandata da un oscuro politicante algerino El Moadi e dal sinistro Lafont, ausiliario della SD-SIPO di Francia). Questa legione, forte di 500 o 600 uomini, sarà poi impegnata in più riprese contro i partigiani. In Tunisia, a fine 1942, i tedeschi crearono le Deutsche – Arabische Truppen che inquadrarono da due a tremila tunisini incaricati di compiti di polizia, mentre un centinaio di musulmani combattevano nella Falange Africana. Altri nella 13 ma Divisione SS Handschar, che lottò contro i russi sul fronte est. Mohamed Said, poi Ministro d’Algeria nel 1969, ex sergente della Legion des Voluntaires Francaises, fu utilizzato dallo SD per una missione di sabotaggio in Algeria. Nel mondo arabo poi il fascismo non fu che una linea di pensiero (come il marxismo).

Il partito panarabo Ifriquayets Al Baas Al Arabi (Partito Socialista della Resurrezione Araba), se adottò schemi marxisti-leninisti non fu tentato dal fascismo italiano, ma dal nazionalsocialismo tedesco (vedasi Mìchel Aflak). L’ala destra del Baas restò apertamente fascista (i “bracciali verdi” della Guardia Nazionale Baatista dell’Iraq di Alì Al Saadi), ma il partito tendeva verso un nazionalismo ‘’di sinistra’’, di stile marxista ( sebbene la collocazione dell’allora Governo basista di Bagdad andasse contro tale orientamento). Quanto a Nasser, fu “Camicia Verde’”, ma militò anche a fianco dei Fratelli Musulmani e partecipò a manifestazioni comuniste del Hadeto (Movimento di Liberazione Nazionale – Partito Comunista Egiziano) e il suo eclettismo fu sovrano. Lo stile del regime ebbe a intermezzi movenze fasciste (nel periodo 1953 – 1955) ma restò un nazionalismo puro, le cui tendenze politiche si diversificavano secondo le implicazioni diplomatiche del momento. I continui andi-rivieni del Potere (Campo di Concentramento degli intellettuali di sinistra o comunisti), secondo i mutamenti repentini del Rais. Tale attitudine fu lontana dal fascismo per le continue variazioni nel campo dei rapporti con il comunismo. Maurice Bardèche notò nel suo libro “Qu’est-ce que le Fascisme?” che i  fascisti europei consideravano Nasser, in quanto nazionalista arabo, come un fascista, anzi un fascista arabo.

Antonio Rossiello

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ANTERO 2 Gennaio 2018 - 4:25

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