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Non un diritto ma un dovere sociale: il lavoro nella dottrina fascista

by La Redazione
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Roma, 18 ago – In un Italia in crisi occupazionale che sembra non avere più fine, fa effetto il significato dato al concetto di lavoro da parte della dottrina fascista, in lotta contro l’utilitarismo e l’individualismo della società liberale.
Nel Fascismo, il lavoro non è espressione della mera operosità materiale dell’individuo che risulta essere fine a se stessa, esso rappresenta al contrario l’elevazione spirituale dell’uomo, per la realizzazione  di un’opera utile all’intera comunità, con i lavoratori che contribuiscono a rendere grande la Nazione. E’ in un ottica metafisica dell’esistenza umana che nasce così “l’uomo sociale”, sinonimo di un uomo devoto all’eticità, ai più alti valori con i quali si erige un Stato. La vita, secondo la dottrina fascista, presenta in sé elementi deontologici che non si possono sintetizzare nell’astrazione figurativa dell’Homo oeconomicus, pertanto tutto ciò che riguarda essa  incluso il lavoro, assume un carattere etico.
Se da una parte, sotto l’aspetto empirico, nel Ventennio il governo si adoperò per tutelare il lavoro con provvedimenti quali ad esempio la stipulazione dei contratti collettivi, forma contrattuale ex novo previsti dalla Carta del Lavoro, dal canto suo, il lavoro diventa un valore sociale, di “partecipazione alla vita comune per l’affermazione di una realtà che deve essere, che dobbiamo costruire, perché viene imposta dalla nostra coscienza. La solidarietà con quelli dei quali sentiamo l’identità di origine; il nostro sacrificio in vista della fortuna dei nostri figli e della Patria”, come asserisce Giuseppe Bottai ne L’esperienza corporativa. Parole che, visto quello che accade oggi, assumono ancora più importanza e significato.
Gianluca Calà

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3 comments

angelo 18 Agosto 2018 - 1:51

Pienamente d’accordo!

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Cesare 18 Agosto 2018 - 10:29

Magari fossimo ancora nel corporativismo del periodo fascista, in cui sia l’interesse dei padroni che degli operai doveva comunque venire dopo l’interesse dello stato.Ambedue i corpi sociali dovevano lavorare in comune accordo e armonia e prendendo in considerazione i giusti interessi ed esigenze di ognuno coinvolto nel processo produttivo, sempre nell’ interesse della nazione e del popolo italiano

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Vincenzo di meo 19 Agosto 2018 - 8:06

Tutto questo dal dopo guerra in poi non c è piu, grazie al neoliberismo, al turbocapitalismo, alla desovranizzazione e alla “formattazione”intellettiva e spirituale dell individuo, il quale deve essere considerto corpo estraneo, di una nazione che col tempo sta perdendo tutto, grazie al capitalismo, imposto dal dopoguerra…

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