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Nove giugno 68: quando l’imperatore Nerone morì avvolto dalle fiamme della damnatio memoriae

by Andrea Bonazza
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Roma, 9 giugno – Nato ad Anzio il 15 dicembre del 37, il discusso imperatore romano Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus, popolarmente chiamato Nerone, morì a Roma il 9 giugno del 68 d.C.. Il suo era un nome fiero, Nero, assunto dalla famiglia Claudia e che in lingua sabina portava tutt’altro significato rispetto al colore più scuro. Da non confondere con il latino Niger, infatti, Nero in sabino si traduceva in “ardito” o “coraggioso“.

Dopo la sua morte il Senato sancì, per la prima volta nella storia, la damnatio memoriae per Nerone, cancellandone in questo modo al mondo romano l’immagine e il nome stesso. Questo è anche uno dei motivi per i quali, il Cesare Nero, è ancora oggi soggetto di grande dibattito accademico e dipinto dall’opinione pubblica come un pazzo incendiario. Ma chi era storicamente Nerone?

L’infanzia con la perfida Agrippina

Come spesso accade anche per motivi dinastici, nella storia di Roma i destini degli imperatori si legano tra loro in un filo conduttore guidato dal sangue degli avi. Nel 39 d.C., Giulia Agrippina Minore, madre di Lucio Nerone, fu esiliata dall’Urbe a causa di una congiura contro il fratello Caligola. Nel 38 divenne vedova del marito e Caligola ne confiscò il patrimonio lasciandola in semi-povertà. Lucio fu affidato alla zia Domizia che lo allevò insieme a un barbiere ed un ballerino che, probabilmente, segnarono la forte inclinazione per lo spettacolo del futuro imperatore.

Con la morte di Calligola nel 41 d.C. Agrippina sposò l’imperatore Claudio, figlio di Druso Maggiore, e tornò a prendersi cura di Nerone affidandolo a nuovi precettori greci, ai quali si aggiunse il grande pensatore Seneca dopo averne revocato l’esilio. Come la storia ci insegna però, Agrippina fu perfida e perennemente mossa da mire ed ambizioni personali. Poichè il figlio Nerone era maggiormente legato alla zia Domizia, infatti, Agrippina la condannò a morte accusandola di complotto contro l’imperatore. La donna romana arrivò addirittura a costringere inoltre il figlio, ormai undicenne, a testimoniare contro l’amata zia, facendolo in seguito fidanzare con Ottavia, la figlia di Claudio che aveva appena 8 anni.

Dall’esilio all’impero

A soli 17 anni Nerone salì al trono nel 55 sostituendo l legittimo figlio di Claudio, Britannico, ucciso per volontà di Sesto Burro. Il matrimonio incestuoso tra Nerone e la sorellastra Ottavia Claudia, architettato da Agrippina, provocò grande scandalo a Roma. Successivamente l’imperatore Nerone divorziò da Ottavia unendosi alla bella Poppea, già amante di Marco Salvio Ottone. La morte raggiunse presto anche Agrippina, probabilmente avvelenata.

Mentre Poppea fu sospettata dell’omicidio della suocera, Ottone venne inviato come governatore in Lusitania e, Nerone infine sposò la bella Poppea. Quello stesso anno Nerone e Seneca invitarono Burro a suicidarsi. Con la morte del governatore romano la carica di prefetto del Pretorio venne assegnata a Tigellino, già esiliato da Caligola per adulterio con Agrippina. Da questi fatti iniziò una lunga scia di sangue tra l’aristocrazia romana e l’imperatore Nerone introdusse, a proprio favore, nuove leggi sul tradimento. Da Poppea l’imperatore ebbe nel frattempo una figlia, che morì anch’essa subito dopo.

Vedo avanzar di fiamme un mar

Arriviamo adesso però a ciò che maggiormente interessa storici e appassionati. Appiccatosi al Circo Massimo e divampato in tutta Roma, nel 64 d.C. la capitale dell’impero fu avvolta da un violento incendio. Mentre i rioni tra il Circo Massimo e l’Esquilino furono totalmente distrutti tra le fiamme, Nerone si trovava nella sua villa di Anzio e, avvertito, corse immediatamente a Roma senza però riuscire a salvare nemmeno la sua reggia imperiale. Narra Svetonio: “Con essa vennero distrutte le case degli antichi generali, ornate delle spoglie dei nemici vinti, i templi costruiti dai re di Roma o al tempo delle guerre di Gallia e di Cartagine, e tutti i più importanti monumenti dell’antica repubblica”. In molti pensarono e pensano tutt’oggi che il terribile incendio sia da attribuire a un ordine dell’imperatore ma, tutt’ora, non ci sono prove a riguardo.

La persecuzione dei cristiani

Nonostante i rapporti tra l’antico culto romano e la nuova religione giunta dal Medioriente fino ad allora furono tolleranti, per per affossare ogni sospetto contro Nerone, i cristiani furono accusati dell’incendio. In precedenza espulsi da Claudio, in molti erano rimasti nell’Urbe fondando una importante comunità cristiana composta soprattutto da schiavi e liberti. La persecuzione contro gli incendiari di Cristo fu tremenda e, secondo la tradizione, fu proprio allora che San Paolo venne decapitato e San Pietro fu crocefisso a testa in giù.

Eliminato momentaneamente il problema cristiano, l’imperatore Nerone incaricò gli architetti Severo e Celero di organizzare il nuovo piano regolatore capitolino. Roma risorse dunque dalle sue ceneri con strade ampie e dritte, case più basse e di pietra ignifuga, e con le macerie della vecchia città bruciata vennero bonificate le paludi di Ostia.

Al posto delle rovine della reggia di Nerone fu costruita la bellissima Domus Aurea, il gigantesco complesso visibile ancora oggi, che andava dal Palatino al Celio e all’Esquilino. In seguito l’imperatore fece costruire grandi opere pubbliche come l’acquedotto neroniano, il taglio dell’istmo di Corinto e un canale lungo 250.000 km, dalla costa dall’Averno a Roma, queste ultime due opere ciclopiche però non furono mai terminate.

I nemici di Nerone

Nel tempo Nerone si era fatto molti nemici tra i Romani; alcuni di essi erano stati da lui maltrattati, altri, invece, erano insofferenti alla nuova politica imperiale e rimpiangevano la vecchia Repubblica. Questa insofferenza comune nei confronti dell’imperatore Nerone, nel 65 sfociò in una grande congiura alla quale presero parte senatori, militi e prefetti.

Colui che architettò il colpo di Stato era Calpumio Pisone, un uomo ricco e di nobili discendenze, lo seguì il senatore Plauzio Laterano, Caio Petronio e pure il poeta Lucano che da Nerone ebbe nomina di augure e questore. Tra l’imperatore e il poeta in precedenza vi fu una forte amicizia alla quale Nerone teneva molto, arrivando perfino a incoronarlo nel teatro di Pompeo. Lucano però negli anni cadde in disgrazia e, disperato da una carriera stroncata, venne adescato dal gruppo di congiurati.

Nel corso dei violenti interrogatori vennero fatti i nomi di Pisone, Lucano e, addirittura, del filosofo Seneca. Con buone probabilità in molti fecero anche i nomi di persone estranee alla congiura, per porre fine alla tortura o evitare la morte. Tra questi vi era lo sventurato Lucano che arrivò ad accusare la madre che nulla c’entrava.

L’ampio numero di congiurati spaventò Nerone che fece raddoppiare le guardie, gli arresti e le torture. Sapendo di essere stato scoperto Pisone si tagliò le vene. Lo seguì Lucano al quale Nerone ordinò il suicidio. Dovette tagliarsi le vene anche il vecchio maestro dell’imperatore, Seneca, che però preferì una morte più lieve, bevendo la cicuta e adagiandosi in un bagno caldo. Per seguirlo nell’Oltretomba, la moglie di Seneca si tagliò anch’essa le vene ma Nerone, informato del fatto, la fece curare immediatamente, salvandola, e lasciandole parte dell’eredità del compianto.

Contro gli ebrei in Palestina

Giunto in Grecia per partecipare ai giochi istmici, nemei, olimpici, pitici, e argolici, nell’antica terra l’imperatore Nerone fece l’auriga e l’attore, cantando e suonando sulle scene. Dichiarato vincitore in ogni gara, appagato Nerone proclamò libera l’Acaja e si fece venerare dai Greci come Giove Liberatore. Nel frattempo però in Palestina il popolo era martoriato dalla fame e scoppiarono violente rivolte mosse dai Sadducei, dai Farisei e dagli Zeloti, in attesa dell’arrivo del Messia giudeo che doveva salvare il popolo eletto, liberandolo così dall’oppressione di Roma. Nel 66, a Cesarea, scoppiarono pesanti tumulti tra Greci ed Ebrei.

Mentre i Romani sostennero i Greci, gli Zeloti ebrei occuparono dapprima il tempio di Gerusalemme, per poi conquistare il castello di Masada sterminandone i Romani che lo presidiavano. L’onta venne presto lavata nel sangue. I Romani uccisero ventimila ebrei nella sola Cesarea e settantamila ad Alessandria, per poi inviare l’esercito di Erode a devastare diverse città abitate dal “popolo eletto”. Non pago, l’imperatore Nerone incaricò Tito Flavio Vespasiano di invadere la Palestina alla testa di sessantamila soldati.

Di fronte alla superiorità dei nemici i ribelli ebrei fuggirono e, catturato dai Romani, lo storico Flavio Giuseppe passò dalla parte di questi ultimi. Dinnanzi a una simile dimostrazione di forza, i Farisei provarono a trattare con Roma venendo però uccisi dagli Zeloti. Nel clima di guerra civile che si andava creando tra le tribù giudee, Vespasiano ne approfittò per riconquistare totalmente la Palestina.

Le guerre in Armenia e Britannia

Oltre a quella Palestinese, da buon imperatore romano, nei suoi 14 anni di mandato Nerone dovette sostenere svariate guerre. Tra queste le più importanti furono in Armenia e in Britannia. In un fratricidio il re armeno Mitridate venne ucciso dal fratello che incoronò il figlio Radamisto. il re dei Parti, Vologeso inviò allora in Armenia le truppe di suo fratello Tiridate che, nonostante si dovette ritirare a causa della peste, riconquistò il trono grazie al volere popolare. Roma non fu contenta della notizia di perdere la propria influenza sull’Armenia. L’imperatore Nerone inviò allora sei legioni al comando di Numidio Quadrato. Spaventato da un tale numero di soldati romani in arrivo, Vologeso implorò la pace all’impero.

Accordata inizialmente la pax, Roma riprese successivamente la guerra demolendo la capitale in un massacro di uomini e schiavizzando donne e bambini. L’esercito di Vologeso non resse la potenza delle milizie romane e riuscì finalmente a strappare a Roma un accordo. In qualità di vassallo dell’imperatore, Tridate si recò dunque al Foro Romano dell’Urbe per ricevere da Nerone le insegne regali. Sopra uno scanno d’avorio tra aquile imperiali e insegne romane, Nerone accolse ai suoi piedi Tiridate, abbracciandolo e incoronandolo in cambio della fedeltà a Roma. Quello stesso giorno Nerone fece chiudere il tempio di Giano. La guerra era finita.

Nel 59 d.C., in Galles, morì il re degli Iceni, popolo fedele a Roma. In testa alle sue legioni Svetonio Paulino invase il Galles fortificandone i castrum e saccheggiandone il territorio. Oltraggiate, vedova e figlie giurarono vendetta all’impero formando un esercito che marciò sul presidio di veterani romani di Camulodunum. I veterani furono massacrati, e la città stessa saccheggiata e data alle fiamme. Anche in questo caso la risposta di Roma non tardò ad arrivare e le legioni riconquistarono la zona. La vedova si uccise col veleno e Svetonio Paulino tornò in Britannia per pacificare i vinti. In quegli anni Roma respinse anche un’invasione di Frisi e l’invasione germanica degli Ampsivari, guidata da Boiocalo. Questi ultimi furono cacciati dai Chauci dalla propria terra natia e, quando Roma provò a trattare la pace, Boiocalo rispose: “Potrà mancarci una terra in cui vivere, ma non una terra in cui morire”. Così fu.

La morte dell’imperatore

Nel 67 Nerone tornò in Italia e comprese che in Gallia era scoppiata una nuova rivolta. L’imperatore ordinò allora di sopprimerla. Destituì i consoli e si preparò a domare la ribellione, convinto che solo la sua presenza potesse far desistere i facinorosi guidati da da Giulio Vindice, governatore della Gallia Lugdunense. Alla testa dei suoi legionari Virginio Rufo sconfisse l’esercito di Giulio Vindice che si uccise, proclamando imperatore lo stesso Rufo, che rifiutò la carica.

Nel mentre scoppiò un’altra rivolta, questa volta in Spagna, capitanata dal governatore della Provincia Tarraconese, Galba. Egli venne eletto imperatore dalle sue truppe e, poiché non aveva con sé che una legione, tre coorti e due squadroni di cavalleria, radunò le truppe ausiliarie e formò una guardia del corpo di cavalieri chiamati Evocati.

In questo clima ostile, completamente sfuggito di mano a Nerone, l’imperatore si rese conto di essere stato abbandonato anche dalla sua guardia personale. Cercò di rifugiarsi dagli amici più fedeli ma solo il liberto Faonte gli offrì asilo in una villa a quattro miglia da Roma. Intanto il Senato lo dichiarò Nemico della patria, condannandolo alla forca. Durante il viaggio verso la villa di Faonte, riconosciuto da alcuni Romani, Nerone decise di pugnalarsi alla gola con l’aiuto del suo liberto Epafrodito. Con la sua morte terminò anche la dinastia giulio-claudia.

Andrea Bonazza

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