Olimpiadi e politica sono un connubio difficile da scindere. La storia ĆØ piena di esempi: dalle pratiche illecite adottate dalla Germania Est per far trionfare i propri atleti, al boicottaggio e controboicottaggio fra Mosca 1980 e Los Angeles 1984, fino alla recente esclusione di molti sportivi russi per le presunte accuse di doping di Stato in barba a qualsiasi principio di diritto che vorrebbe la responsabilitĆ personale e non collettiva. La scelta della Serbia, fuori dalla retorica degli eredi De Coubertin, non si discosta quindi da pratiche giĆ in essere da anni. Anzi, rispetto a questioni di natura prettamente ideologica, quella di Belgrado ha a che fare con l’identitĆ nazionale, dato che il governo nonostante i numerosi cambi di esecutivoĀ non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, visto come atto unilaterale e lesivo della sovranitĆ serba: “Non possiamo sentire l’inno del Kosovo e vedere sventolare la loro bandiera“, ha affermato perentoriamente Udovivic, che con la nazionale di pallanuotoĀ ha vinto due medaglie d’oro (campionati europei e mondiali) e un bronzo a Pechino 2008.
Il Kosovo, riconosciuto dal comitato olimpico nel 2014, partecipa ai giochi con otto rappresentanti. Non facili quindi gli incroci ad alti livelli con atleti della Serbia, i quali comunque sembrano gradire l’idea del ministro: “Non accettiamo lo stato del Kosovo, questo ĆØ sicuro. E’ un Paese costruito che ĆØ stato sempre parte della Serbia. Capisco le parole di Udovicic, credo bisogni prima capire cos’ĆØ successo secoli fa prima di conoscere l’esatta risposta. Ma ovviamente capiamo perchĆØ ha detto questo”, ha detto Viktor Troicki, tennista 22° nel ranking mondiale.
Nicola Mattei