Roma, 27 mag – Essere filorussi deve essere un po’ come essere fascisti. Lo sei se devi anche solo un attimino dall’agenda imposta ad Ovest – ovviamente da Washington – o se ti permetti di affermare un principio di sovranità minimamente discontinuo. Così avviene la magia, la meraviglia che non ti aspetti, il colpo da maestro. E allora pure la Georgia, da almeno quindici anni (ma praticamente da sempre, dopo il crollo dell’Urss) fedelmente impostata a una linea politica filoccidentale, finisce per diventare filorussa. Perché? La risposta nelle polemiche delle ultime settimane, visto che le proteste a Tbilisi (di cui abbiamo già parlato) non sono cessate. E neanche le lagne occidentali. Anzi, si sono entrambe rinvigorite…
La Georgia “filorussa” per una legge a salvaguardia della sovranità nazionale
Un rumore francamente insopportabile che si è esteso nelle ultime due settimane, o quasi. Più o meno da quando il parlamento georgiano ha approvato la legge sulle “interferenze straniere”, con disappunto perfino della “filorussissima” presidente Salomé Zourabichvili. Il copione prevede le solite proteste di piazza con bandiere Ue al seguito e, ovviamente, le altrettante proteste dell’universo di Bruxelles che parla di “calpestamento dei diritti dei cittadini”. Insomma, le ingerenze sulla sovranità georgiana tutelerebbero i georgiani mentre un loro freno li danneggerebbe. Non si può dedurre diversamente, perché se una forma non è spigolosa diventa inevitabilmente morbida. Ma cosa dice il terribile testo? Semplicemente impone l”obbligo per Ong, organi d’informazione e movimenti civili a registrarsi come “agenti stranieri” se il 20% dei loro fondi arriva dall’estero. Una legge molto simile a quelle presenti non solo in Russia, ma anche nell’Ungheria di Orban, uno degli Stati più criticati dall’Occidente pur facendo parte della sua sfera d’influenza (strano, aggiungeremmo noi).
Filorussismo inventato portami via
Ora, è chiaro che con la dialettica si possano proferire le peggiori sciocchezze, ma questa è abbastanza grossa. Già da prima della crisi del 2008 in cui la Georgia attaccava deliberatamente l’Ossezia del Sud con il solo scopo di aumentare la sua estensione territoriale intorno a Mosca, il Paese aveva una chiara impostazione filo-occidentale e filo-statunitense. Addirittura dalla fine dell’impero sovietico e dalle contese ancora in corso con il Cremlino sull’Abkhazia.
Ma tornando al primo decennio dei Duemila, già allora Mikheil Saak’ashvili, eletto per ben due mandati presidente, aveva avviato una politica di prossimità a Washington, culminata in quella seconda guerra in Ossezia difesa a spada tratta dagli Stati Uniti e dall’Occidente, che descrissero l’invasione georgiana in modo praticamente “ribaldato”, narrando la reazione russa come un atto di invasione, utilizzando come unica argomentazione il fatto che la stessa Ossezia del Sud non fosse un territorio libero riconosciuto a livello internazionale. Il post-Saak’ashvili non è molto diverso: la Georgia guidata da Giorgi Margvelashvili continua il suo percorso filo-occidentale e la sua impostazione chiaramente improntata all’ingresso nell’Ue. L’attuale presidente Zourabichvili, ha addirittura posto il veto alla legge contro le interferenze straniere affermando che “il sospetto tra i cittadini è che stiano creando ostacoli nel nostro percorso verso l’Unione europea”. Non serve un genio per capire come le lagne provenienti da Bruxelles e amici ritardati non abbiano alcun fondamento.
Come non hanno alcuna forza analitica le constatazioni delle “proteste di piazza”. Una “tattica” fin troppo conosciuta che con i maidan ha generato il caos in Ucraina nel 2014 e prima di allora in mezzo Medio Oriente, come scuola Soros insegna (peraltro anche tramite ben note dichiarazioni ufficiali del “filantropo”) e non dovremmo nemmeno impelagarci in una ennesima spiegazione di un fenomeno già noto, che per qualcuno era finito in disuso ma a quanto pare potrebbe essere tornato di moda perché, si sa, le buone abitudini non muoiono mai.
Si potrebbe – questo sì – ipotizzare un tentativo di inversione di tendenza di Mosca in termini di soft power nei confronti dei Paesi confinanti (cercando di reagire a una politica fin troppo lassista negli ultimi decenni), e in tal senso una legge contro le “interferenze straniere” potrebbe essere più ostile agli Usa che non alla Russia, considerato il già indiscutibile spostamento di Tbilisi ad Ovest: si tratta di un ragionamento elementare, i movimenti e le contrapposizioni non sono assoluti ma relativi al contesto. Così, se come da un contesto occidentale, si decide “equidistanza tra Washington e Mosca” inevitabilmente si fa il gioco degli Stati Uniti, allo stesso modo in un contesto comunque vicino all’impero yankee come è quello georgiano si produce una legge a contrasto delle interferenze straniere, inevitabilmente si fa – involontariamente o meno non ci interessa – il gioco del Cremlino nello spostamento delle sfere di influenza. Ma questa è una considerazione puramente ipotetica, su cui ovviamente possiamo fare solo congetture e non abbiamo alcun elemento. Peraltro, decisamente troppo complicata per i geni della propaganda occidentale.
Stelio Fergola