Roma, 26 maggio – “No Elvis, Beatles or the Rolling Stones”. Così cantavano i Clash nel loro manifesto 1977, quando il punk costituiva un radicale punto di rottura con tutto quello che era venuto prima (anche se poi, a ben vedere, paradossalmente i Clash non ci sono più da decenni, mentre i Rolling Stones girano ancora il mondo per suonare!). E oggi parlerò proprio dell’evoluzione del mio rapporto con i Fab Four di Liverpool.
Dal punk ai Beatles, passando per Liverpool
La prima sottocultura con la quale mi sono approcciato da ragazzino (tralasciando l’infatuazione delle scuole medie per i paninari) fu proprio il punk e, quando sei così giovane, viene da sé che prendi un po’ tutto il pacchetto di stereotipi e luoghi comuni, tenendo anche in considerazione che allora mica c’era internet e quindi le informazioni le prendevi dai libri, dai dischi o da qualche ragazzo più grande. E poi i Beatles erano dell’era dei miei genitori e sembravano tutti così perfettini, così rassicuranti e le canzoni che conoscevo tutte così perbene… insomma, un adolescente dei primi anni ’90 li doveva odiare per forza!
Poi è successo che sono cresciuto, che ho iniziato a viaggiare e che, oltre tutto, tifassi pure Everton. E così tra Londra e Liverpool iniziai a trovare tracce di loro ovunque e a comprendere che, senza i Beatles, sicuramente non avremmo mai avuto nemmeno il punk. E poi approfondisci e capisci che non erano esattamente quattro bravi ragazzi, ma anzi dei bei balordi della Merseyside (soprattutto John Lennon) e che la loro discografia era ben più varia e interessante di un loro greatest hits. I Favolosi Quattro infatti sono uno, nessuno, centomila e, proprio per questo, possono piacere all’ascoltatore occasionale, ma anche al fanatico musicale. E girando per Liverpool te ne vai al Cavern, locale nel quale mossero i primi passi, e respiri ancora intatto il loro spirito… perchè sono stati più di una band, più che delle persone: sono stati lo spirito di una città intera che trasuda football e musica.
Il rapporto con il calcio
Eppure i Beatles, che di fatto avevano essi stessi un tifo praticamente da stadio, di calcistico avevano poco, o forse gli era stato detto dal manager Brian Epstein di non parlarne affatto, proprio per non essere divisivi: loro in fondo dovevano essere come la nazionale dei Tre Leoni, per tutti. E quindi, come per anni vennero tenute segrete le loro relazioni amorose, così accadde per tutto ciò che fosse legato al football.
Ma cosa sappiamo del loro rapporto con il calcio? Molto poco, in verità. John Lennon, che pare fosse il più bravo con un pallone ai piedi, da diverse fonti sembrerebbe fosse più vicino al Liverpool, mentre Paul McCartney aveva un cugino tifosissimo dell’Everton, quindi simpatizza per i Toffees, anche se in maniera molto soft. Su George Harrison e Ringo Starr sappiamo ancora meno, anche se pare che il primo simpatizzasse blu ed il secondo rosso. Quello che invece è certo è che Pete Best, che fu sostituito da Ringo alla batteria, tifi Everton in maniera appassionata e ne può parlare tranquillamente.
E nel 2011 sono finalmente riuscito a vedere Paul McCartney a Milano: un concerto di quasi tre ore, nel quale Paul (o il suo sosia, dando credito alla leggenda che vede il primo McCartney morto nel 1966) ha fatto praticamente quasi tutti i classici dei Beatles e che, ancora oggi, considero uno dei tre più bei concerti ai quali abbia mai assistito.
E, in fondo, io sono ancora punk come quando ero ragazzino, perché cosa c’è di più punk del fare qualsiasi cosa che ti piaccia?
Roberto Johnny Bresso