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Patriota, critico d’arte e avventuriero: Giovanni Battista Cavalcaselle, una vita per l’Italia e la bellezza

by La Redazione
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“La mia vita e i miei studi furono sempre rivolti alla Patria ed alle belle arti”

Roma, 30 set – Giovanni Battista Cavalcaselle, del quale a breve ricorrerà il bicentenario della nascita, è uno di quei personaggi ancora troppo poco conosciuti. Ritenuto tra i fondatori di una moderna critica d’arte, è innanzitutto un esempio encomiabile di amatore del nostro patrimonio culturale. Data la sua incredibile biografia e il contributo per la Nazione, questo nome non dovrebbe essere noto solo ai pochi studiosi della storiografia artistica, bensì ad una porzione di italiani molto più ampia.

Cavalcaselle nasce nel basso veronese, a Legnago, nel 1819. Abbandonati gli studi di ingegneria si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove apprende le varie tecniche artistiche, ma poco propenso agli studi regolari abbandona anche l’Accademia per iniziare un’avventurosa serie di viaggi a piedi. Non è però un moderno “globetrotter” finanziato da mamma e papà benestanti, ma un giovane di modestissime condizioni. Letteralmente col fagotto sulle spalle, percorre prima tutto il Veneto e poi il resto del nord Italia, ammirandone e studiandone le pinacoteche, le chiese, le collezioni e tutte le opere più nascoste. Vivendo in un’epoca pre-fotografica, Cavalcaselle capisce che l’efficacia del suo metodo deve basarsi sulla conoscenza diretta delle opere, inoltre è profondamente convinto che lo stile di un artista sia comprensibile solo all’interno della tradizione alla quale appartiene.  Ottimo disegnatore, riporta tutte le sue scoperte  in schizzi su quaderni di viaggio o su fogli sparsi.

Superato il Trentino arriva in Germania, dove visita Dresda, Lipsia e Berlino. Nel 1848, mentre è in procinto di raggiungere l’Olanda e il Belgio, gli giunge la notizia dell’insurrezione della Lombardia e del Veneto. In quanto fervente patriota e appartenente alla Giovine Italia di Mazzini, decide di tornare nella penisola per prender parte ai moti rivoluzionari e, raggiunta Padova, si arruola nella legione studenti e volontari veneti. Scoperto durante una missione tra Cremona e Piacenza, viene però arrestato dagli austriaci  e condannato a morte. Il Cavalcaselle riesce tuttavia ad evadere rocambolescamente dalla carrozza che l’avrebbe consegnato al boia. Latitante fino a Roma, fugge in Francia, per poi trovare rifugio in Inghilterra, presso l’amico Crowe, conosciuto durante il suo viaggio in Germania. Esule politico a Londra, Cavalcaselle si guadagna da vivere come illustratore e restauratore, ma anche grazie alle consulenze offerte alla National Gallery e alla Gallery of Art di Liverpool. Nel ’56, dopo aver visitato la Francia e la Spagna, pubblica insieme a Crowe una storia della pittura fiamminga, The Early Flemish Painters, opera di grande successo tradotta presto in francese e tedesco. Ottenuto un passaporto torna finalmente in Italia nel ’57, per poi redigere nel ’61 col futuro senatore Morelli il Catalogo degli oggetti d’arte delle Marche e dell’Umbria. Successivamente propone al ministro un suo progetto per la tutela delle opere d’arte e l’istituzione di un ispettorato tecnico, tuttavia questi è considerato un personaggio scomodo e poco gradito nel neonato stato italiano. Nel 1862, a Torino, viene ferito con un pugnale da uno sconosciuto. Non si scopre il movente, ma il Cavalcaselle pensa che il gesto sia motivato dai suoi elenchi di opere d’arte conservate nei conventi soppressi dalle leggi ecclesiastiche.

francobollo cavalcaselleA me non rimane di caro che il mio paese, intendo dire l’Italia d’un passato e la speranza d’un suo avvenire, ma il disprezzo del presente ove tutto è fango e corruzione”: l’anno successivo esce il suo appello al ministro della Pubblica istruzione, Sulla conservazione dei monumenti e degli oggetti di belle arti e sulla riforma dell’insegnamento Accademico. Nonostante le opposizioni trovate in Italia, Cavalcaselle viene nominato nel ’67 ispettore del Museo nazionale del Bargello a Firenze, mentre un anno dopo è la guida personale del principe Federico di Prussia tra le collezioni fiorentine, il quale gli conferisce la croce mauriziana. Raggiunta finalmente una discreta stabilità economica, riprende i suoi viaggi: Copenaghen, Stoccolma, San Pietroburgo, Praga, Budapest, Vienna, Edimburgo ecc. Tornato in Italia provvede a far restaurare gli affreschi di Giotto nella basilica di S. Francesco di Assisi, quelli della cappella degli Scrovegni, quelli del Mantegna nella chiesa degli Eremitani a Padova e nel palazzo ducale di Mantova.

Nel ’71 si trasferisce a Roma per redigere  gli inventari dei quadri e delle statue nelle collezioni pubbliche italiane, ma come aiutanti gli vengono dati due poeti, segno d’una macchina statale ancora arretrata e inadempiente. Il governo italiano lo nomina formalmente nel 1875 ispettore generale per la pittura e scultura, ma per Cavalcaselle è un riconoscimento da poco, dal momento che il suo lavoro viene più premiato all’estero che in patria. Ciononostante l’amore di Cavalcaselle per l’Italia resta sempre immutato: “L’Inghilterra non è il mio paese, e del mio paese non mi rimane che la trista memoria di tre colpi di pugnale. Non perciò amo meno il mio paese; e come sotto i colpi degli assassini ho gridato viva l’Italia, così farò quando morirò all’ospitale.” Durante un viaggio in treno da Firenze a Roma, un malore colpisce Giovanni Battista. Questi muore a Roma il giorno seguente, 31 ottobre 1897.

Giovanni Battista Cavalcaselle diede sempre all’Italia molto di più di quel che prese. Devoto all’indipendenza nazionale la sua attività di storico e operatore dell’arte puntò alla difesa del patrimonio italiano. Una difesa dell’arte come visione di unità e continuità di tradizione nazionale attuabile con azioni legislative volte a impedire le esportazioni delle opere d’arte più importanti. Impegno che lo differenziò dalle scellerate politiche pseudo liberistiche di svendita all’estero dei governanti del tempo e di storici dell’arte insensibili al problema. Un atteggiamento che non sembra essere mutato – se non è addirittura peggiorato, fra ridicolizzazione della storia dell’arte nei licei e incapacità di tutelare il patrimonio nazionale – negli ultimi due secoli.

Alberto Tosi

 

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