Roma, 3 nov – Il Piano Mattei da fumoso come è sempre stato ora diventa un po’ meno fumoso, dopo i dettagli contenutistici del decreto che verrà approvato dal Consiglio dei ministri quest’oggi.
Piano Mattei, gli articoli del decreto
L’obiettivo è sempre stato chiaro: “Un nuovo partenariato tra Italia e Stati del Continente africano”. Molto meno lo erano i dettagli, fino a ieri almeno. Adesso obiettivamente il decreto legge sul Piano Mattei rischiara quanto meno il quadro teorico di ciò che dovrebbe essere il progetto: sette articoli che istituiscono una serie di componenti strutturali, dalla cabina di regia, alla durata, agli aggiornamenti degli obiettivi. Come riporta Tgcom24, il decreto si pone l’obiettivo esatto di “definire” sia le strategie che le modalità di collaborazione che l’Italia dovrebbe avviare con gli Stati africani. Da quanto si legge nella bozza, da un lato si promuoverà “lo sviluppo economico e sociale” dell’Africa e dall’altro ci si concentrerà sul “prevenire le cause profonde delle migrazioni irregolari”.
Finanziamenti che saranno garantiti dallo Stato italiano ma anche privati, nell’ottica di una “più ampia strategia italiana di tutela e promozione della sicurezza nazionale in tutte le sue dimensioni, inclusa quella economica, energetica, climatica, alimentare e del contrasto ai flussi migratori irregolari”. Quanto alla durata, il Piano Mattei avrà una durata quadriennale, con la possibilità di aggiornarlo anche prima della scadenza: dunque, per lo meno, si parla di tempi, il che presuppone quanto meno l’esistenza di una idea un po’ più solida del semplice slogan (quale è stato finora). Si legge anche: “Cooperazione allo sviluppo, promozione delle esportazioni e degli investimenti, istruzione e formazione professionale, ricerca e innovazione, salute, agricoltura e sicurezza alimentare, approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche, tutela dell’ambiente e adattamento ai cambiamenti climatici, ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture anche digitali, valorizzazione e sviluppo del partenariato energetico anche nell’ambito delle fonti rinnovabili, sostegno all’imprenditoria e in particolare a quella giovanile e femminile, promozione dell’occupazione, prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare”.
Interessante la cosiddetta “cabina di regia” presieduta dal premier, dal ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, con funzioni di vicepresidente, e dagli altri ministri, dal presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dal direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, dai presidenti dell’Ice-Agenzia italiana per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, della Cdp e della società Sace. È previsto che questa cabina di regia coinvolga anche i “rappresentanti di imprese a partecipazione pubblica, del sistema dell’università e della ricerca, della società civile e del terzo settore, rappresentanti di enti pubblici o privati, esperti nelle materie trattate, individuati con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto”
Cosa fa perdurare lo scetticismo
La buona notizia, diciamo così, è che finalmente si parla in modo un filo più dettagliato di ciò di cui si dovrebbe occupare questo fantomatico “Piano”, oltre a una cooperazione energetica generica e all’obiettivo finale che al contrario è sempre stato molto definito. A parziale scusante della fumosità finora espressa, c’è l’obiettiva difficoltà di un progetto sulla carta così ambizioso, il quale ovviamente necessita di tempo per essere formulato strutturalmente. Il problema, però, è un altro: la politica estera di fatto inesistente dell’Italia, e il fallimento totale del governo Meloni su questo aspetto. Tanto buon impegno negli incontri bilaterali con i Paesi africani, ma zero autonomia e voglia di esprimerla sia sul fronte economico internazionale che su quello geopolitico (Ucraina, Israele, eccetera). La domanda che sorge spontanea è: come rapportarsi con i Paesi africani non riuscendo a distaccarsi neanche un minimo dalla politica di Washington e – in seconda istanza – europea? Per realizzare almeno metà dei progressi che il Piano Mattei vorrebbe raggiungere in quattro anni ci vorrà ben altro che le dichiarazioni fotocopia – e senza visione – sulle crisi internazionali. Senza contare che parte del fumo passato non si è certamente dipanato nel presente, se si pensa che ancora non si hanno certezze assolute sui Paesi coinvolgi (desumibili dai bilaterali della Meloni e dall’idea generica del Piano, ma non da qualcosa messo nero su bianco, insomma).
Alberto Celletti