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Pio Filippani Ronconi, in memoria dell’ultimo patrizio romano

by La Redazione
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filippani ronconi

A 13 anni dalla scomparsa di Pio Filippani Ronconi ripubblichiamo un articolo sulla sua vita a firma di Carlo Altoviti 

Roma, 27 mag – In un estratto apparso in allegato alla meritevole rivista Arthos, diretta dal prof. Renato Del Ponte (La 29° Divisione Granatieri SS, Arthos n. 7 nuova serie, Genova 2000), Pio Filippani-Ronconi raccontò la sua esperienza nella Divisione Waffen SS italiana durante il secondo conflitto mondiale. In merito a quest’esperienza bellica, ci sovviene un aneddoto oltremodo significativo del personaggio che ci accingiamo a commemorare. A un ufficiale tedesco che, colpito dalla Sua capigliatura bionda, gli chiedeva se avesse origini nordiche, il giovane rispose in perfetto tedesco: «Ich bin ein Römischer Patricius» (sono un patrizio romano). La risposta fornita sintetizzava perfettamente la natura e la personalità dell’Uomo.

Chi era Filippani-Ronconi

Nacque a Madrid il 10 marzo 1920 da padre rampollo di una famiglia della più antica aristocrazia romana e da madre spagnola, la quale fu vittima durante la guerra civile dell’odio sanguinario dei repubblicani. Dedito sin dalla giovinezza allo studio delle civiltà e delle tradizioni dell’Oriente, conoscitore di svariate lingue antiche (sanscrito, persiano, turco, ebraico, cinese, aramaico, arabo, tibetano, etc.) e moderne, Pio Filippani-Ronconi incarnò nell’Italia del XX secolo quel tipo ideale Ario-Romano che Julius Evola, in Sintesi della Dottrina della Razza (1941), additava agli Italiani quale paradigma razziale superiore della nostra gente. Non a caso, pur da uomo del nostro tempo perfettamente inserito nelle vicende politiche, militari e culturali dell’Italia contemporanea, il nostro ebbe sempre quale orizzonte ultimo la riscoperta di quell’eredità ancestrale che a noi italiani, nostro malgrado e quasi sempre senza neppure averne coscienza, arriva dalla più remota antichità indo-europea, attraverso il Mito che si è fatto concreta vicenda storica, politica e religiosa in Roma antica, fino ai tempi a noi più vicini del Risorgimento Nazionale (al Filippani-Ronconi particolarmente caro come momento di unità e di riscossa contro il particolarismo caotico degli Stati preunitari) e dell’effimero ma significativo sogno imperiale di un ventennio passato, sconfitto ma pur sempre pegno di futura rinascita.

Nell’ambiente neofascista del secondo dopoguerra, come ha ben ricordato Sandro Consolato nel numero speciale che La Cittadella ha dedicato al grande orientalista, troppo spesso e troppo limitativamente l’immagine di Pio Filippani-Ronconi è stata legata a una ben nota e diffusa fotografia giovanile in divisa da ufficiale della Legione Italiana SS. Per inciso, ci fa piacere ricordarlo qui, Pio Filippani-Ronconi aveva iniziato il conflitto con la gloriosa divisa dei Granatieri di Sardegna, con la quale combatté con il grado di sergente sul fronte libico. La scelta di arruolarsi nelle Waffen SS, peraltro, sorse come per molti altri dalla necessità di riscattare l’onore ferito d’Italia innanzi all’alleato tedesco e alle altre nazionalità rappresentate nell’embrionale esercito pan-europeo di Himmler: «Di fronte a Fiamminghi, Tedeschi, Valloni, Scandinavi eccetera, noi Italiani potevamo dimostrare di essere i migliori di tutti in ogni senso e in ogni campo». E il Nostro si coprì effettivamente di gloria, guadagnando sul fronte di Nettuno la Croce di Ferro di Seconda Classe. Ma quale fu il senso ultimo di quell’esperienza bellica, di quella partecipazione all’immane e mostruoso conflitto che vide l’Europa perdere il ruolo di centro del potere mondiale e l’inizio della decadenza di tutte le Nazioni bianche, comprese quelle anglo-sassoni «vincitrici» (ma in realtà manipolate e quindi sconfitte anch’esse), nonché il trionfo dell’Eterno Nemico che oggi sempre più affonda il suo coltello di Shylock nelle nostre carni? Esso fu, per Pio Filippani-Ronconi, una precisa e irrevocabile scelta di campo nell’eterna lotta tra Luce e Tenebre, tra Ahura Mazda e Ahriman.

La carriera accademica

Il riferimento alla mitologia cosmica Arya (e nella fattispecie iranica) è d’obbligo, considerato che dal 1959 Pio Filippani Ronconi, allievo del grandissimo Giuseppe Tucci (il pioniere degli studi tibetani in Italia), fu titolare presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli della cattedra di Filosofie e religioni dell’India (dopo aver ricoperta quella di Pensiero cinese), oltre a diventare uno dei massimi studiosi occidentali del Canone buddista. La particolare propensione per la spiritualità dell’Arianesimo indo-iranico trovò conferma nello speciale rapporto che Pio Filippani-Ronconi intrattenne con lo Shah di Persia, di cui nel 1971 fu ospite d’onore a Teheran durante le celebrazioni per i 2.500 anni della Monarchia Imperiale Persiana fondata da Re Ciro il Grande, capostipite degli Achemenidi. E’ inoltre noto che il Filippani-Ronconi, nel suo percorso personale, approcciò direttamente ambiti generalmente preclusi all’esperienza mondana dell’uomo comune, quale la dimensione esoterica ed iniziatica di chi, aprendosi all’influsso di ciò che è più che umano, attinge a stati meta-storici, meta-fisici e meta-temporali di immedesimazione con la realtà ultima e immutabile. Tra le vie sperimentate da Pio Filippani-Ronconi, si ricordino il Tantrismo, le pratiche magiche del Gruppo di Ur, la via antroposofica steineriana italiana di Giovanni Colazza e Massimo Scaligero.

Nelle vicende storiche italiane, invece, il nostro intravedeva l’eterno scontro tra due diversi e opposti tipi umani di Italiano, quello del Connazionale che vive la vita come imperativo etico e opera in sintonia con quello che egli chiamava l’Arcangelo della Nazione, e quello dedito al proprio tornaconto particulare, il rappresentante della massa passiva e opportunista, «odiatore anzi del medesimo concetto di Nazione per la piramide di responsabilità che questa comporta». Non gli era neanche estranea l’intuizione del rapporto dialettico, talvolta conflittuale ma sicuramente fecondo, tra Roma e Italia, tra il polo universale e accentratore e il polo particolaristico e centrifugo della nostra identità nazionale. In questa sede non è luogo di entrare maggiormente nel dettaglio della vita e delle opere di Pio Filippani-Ronconi, meglio e più autorevolmente trattati in particolare dai pregevoli contributi del numero speciale dalla rivista La Cittadella diretta da Sandro Consolato (numero 40, anno 2010), cui si rimanda integralmente per un proficuo approfondimento.

La Roma celeste

Nell’opera di Pio Filippani-Ronconi si rinviene un esempio fulgido di quel nazionalismo anagogico irriducibilmente radicato nella materialità fisico-naturalistica del sangue e della carne della Gente Italiana e del suolo della nostra Terra, ma immanentisticamente vivificato dalla Tradizione spirituale ario-romano-italica e dallo Spirito eterno di quella Civitas Deorum che lungi dal contrapporsi agostinianamente alla Città degli Uomini, ne è il soffio animatore, l’archetipo, il mito fondante. Mito fondante che nella Res Publica Romana della Pax Deorum ha trovato la sua massima manifestazione mondana e transeunte, ma che permane intangibile in quella Roma celeste che ciclicamente si è sempre – con maggiore o minore fedeltà – reincarnata e tornerà a reincarnarsi in periodi, figure e regimi storicamente determinati.

Sono passati ormai 13 anni dalla morte di Pio Filippani-Ronconi, che significativamente volle essere sepolto con rito funerario russo-ortodosso: segno sicuramente non casuale del riconoscimento di una missione arcana della Russia, probabilmente chiamata a svolgere un ruolo di ultimo argine contro le forze dissolutrici oggi scatenate. Oggi rendiamo omaggio al grande Patrizio Romano, quale Maestro di quella memoria storica senza la quale siamo destinati alla «servitù fisica e morale, alla perdita della identità nazionale poi, e infine, alla sparizione». In questa fase storica, il mondialismo contro-iniziatico getta sempre più la maschera e mostra a tutti, anche a chi si ostinava a non guardare, il vero volto del suo potere usurario e sovvertitore di ogni superiore valore spirituale, etico, nazionale ed etnico. Adesso più che mai, dobbiamo accostarci umilmente all’esempio di Pio Filippani-Ronconi, per capire «chi siamo e come siamo divenuti quello che siamo, non solo, ma “come dobbiamo riessere”, per recuperare il posto che ci compete nel concerto delle Nazioni».

Carlo Altoviti

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8 comments

Roberto 27 Maggio 2018 - 4:51

Ancora ste puttanate sulla razza? Dov’è il merito nel nascere in una famiglia nobile e ricca piuttosto che in una plebea e povera?
Tra l’altro molti nobili sono dei debosciati pieni di tare genetiche consequenti all’andogamia.
Vogliamo parlare di Paolo Gentiloni?

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Roberto 27 Maggio 2018 - 5:11

Ancora ste puttanate sulla razza? Dov’è il merito nel nascere in una famiglia nobile e ricca piuttosto che in una plebea e povera?
Tra l’altro molti nobili sono dei debosciati pieni di tare genetiche consequenti all’endogamia.
Vogliamo parlare del conte Paolo Gentiloni Silveri?

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Giovanni 28 Maggio 2018 - 10:26

Il merito sta negli ascendenti. Nel tuo caso, a nulla hanno potuto.

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Roberto 28 Maggio 2018 - 9:39

Io ho criticato il signore in questione ma il passaggio in cui l’articolista fa riferimento all’appartenenza a una razza superiore per il fatto di essere nato in una famiglia nobile.
Quando offendi qualcuno perché esprime una opinione che non condividi, o perché come in questo caso non hai capito un cazzo di quello che ha scritto, e lo fai vigliaccamente a distanza di sicurezza, dimostri che la nobiltà d’animo, l’onore e il coraggio, non ti appartengono e non potrebbero appartenerti neanche se avessi un titolo nobiliare.

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Roberto 29 Maggio 2018 - 11:05

Evidentemente ti sfugge il significato della parola merito. Se tu sei convinto che i nobili siano una razza superiore, in altre parole se ti senti inferiore ai nobili, gente tipo Paolo Gentiloni, Costantino della Gherardesca, i Savoia…bè il problema è tuo. Oltre di autostima manchi anche di coraggio ad insultare chi non la pensa come te a distanza di sicurezza.

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paleolibertario 28 Maggio 2018 - 3:23

Grande Pio Filippani Ronconi. Peraltro l’articolo di cui sopra è ricco e intenso. Grazie.

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Pietro 8 Febbraio 2020 - 10:52

Pio Alessandro Filippani Ronconi è stato un grandissimo uomo ,e concordo con il sig. Roberto che la nobiltà è ciò che noi dimostriamo non attraverso un araldo famigliare. Se osservo la stirpe Savoia ben pochi di loro sono degni di rispetto e comunque ogni lignaggio cosi chiamato nasce da proprietà terriere sin dal primo medio evo e non da chissà quale sangue particolare. La chiesa Romana ha nobilitato per concessioni in denaro o servizi di ogni genere ,lascio all’ignoranza del medio evo il termine barone e affini
e concedo al presente il riconoscimento all’Uomo che merita senza importanza del cognome ma per l’audacia ,il coraggio , l’onore e la dignità che lo contraddistingue !

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Così parlò Zoroastro: la religione dell’altro Iran - 26 Novembre 2022 - 10:30

[…] dinastia Pahlavi – che per Pio Filippani Ronconi era «un capitolo del romanticismo europeo» con il suo rievocare le glorie delle dinastie […]

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