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Il populismo può essere efficace solo se sovranista: ecco perché

by Nicola Mattei
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Roma, 21 lug – Poche settimane fa è stato dato alle stampe un interessante volume che vale la pena segnalare. Ci riferiamo a Trattato sul sovranismo, o del populismo efficace (Collana Chimera, 176 p, 15€). L’autore è Guido Taietti, firma della nostra rivista, che spesso ha scritto sul populismo e sulle strategie comunicative scelte dai partiti populisti. Il testo, del quale in questi giorni viene data alle stampe una seconda edizione, affronta il tema del momento: il sovranismo.

Il sovranismo “operativo”

L’autore decide di seguire un percorso relativamente inedito: non propone una definizione “teorica” o formale di sovranismo, quanto piuttosto una definizione operativa e a questa operatività, a dargli peso, direzione e strategia si preoccupa nelle pagine del testo.

Esattamente come la forza del progressismo, ad esempio, non sta assolutamente nella sua chiarezza definitoria, ma piuttosto nell’efficacia con cui la miriade di attori politici, culturali, mediatici ed economici che vi si rifanno riescono ad agire allo stesso modo occorre chiedersi chi sono gli attori che possono comporre il fronte sovranista e come tali attori possano collaborare tra loro.

Oggi il sovranismo è il risultato della dialettica tra gli attori che si oppongono alla narrazione globalista e progressista ed in particolare tra i due attori più importanti: i partiti populisti e la miriade di realtà più radicali spesso, ma non necessariamente, definibili nazionaliste/fasciste. Se gli attori populisti sono spesso, anche se sotto precise condizioni, capaci di riscuotere grande successi elettorali e sembrano essere particolarmente adatti a riscuotere consenso nel dibattito politico contemporaneo, gli attori più radicali sono invece particolarmente efficaci ad agire sul piano qualitativo della presenza militante, della produzione culturale e metapolitica.

Il testo pertanto analizza, con un approccio strettamente politologico, il successo elettorale dei partiti populisti, ma allo stesso tempo ne mostra l’intrinseca incapacità di costruire una egemonia, una narrazione, una strategia politica che vada oltre il successo elettorale estemporaneo e sia capace di produrre vero cambiamento. Nei capitoli successivi analizza invece il costante insuccesso elettorale di partiti “fascisti” o di estrema destra incapaci di incontrare il consenso di un elettorato che, dalla fine della guerra fredda, tende a diventare sempre più de-ideologizzato. Doppiamente poi svantaggiati dallo storicamente nullo potere coalizionale che li relega comunque, anche nei rarissimi casi di successo elettorale, ad agire ai margini del sistema politico di appartenenza. Tali realtà super ideologizzate però, proprio perchè portatrici di una narrazione troppo complessa per l’elettore, diventano ottimi collettori di militanti e spesso sono particolarmente capaci di mostrare presenza online o una insperata produzione culturale.

Il testo è particolarmente intessante per il lettore italiano perchè in una prima metà, più accademica, dopo aver elencato le caratteristiche in letteratura dei partiti populisti e dei movimenti più radicali, “fasciste” o di estrema destra, l’autore si sofferma particolarmente sul contesto italiano: analizzando alla luce delle definizioni mostrate precedentemente la Lega di Salvini e il movimento politico CasaPound Italia.

Sovranismo e/o populismo?

Nella seconda metà del testo invece, meno accademica e più strettamente “politica” il testo si preoccupa di rispondere ad alcune domande che è facile porsi tutti i giorni: perchè il populismo non è sufficiente e non può salvarci? Come comunicano i partiti populisti e come comunicano i movimenti più radicali? Perchè è necessaria una collaborazione tra partiti populisti e realtà militanti?

In particolare il testo si conclude mostrando come, anche grazie alle caratteristiche dell’arena social, la presenza di una rete militante è fondamentale per dare profondità e viralità al proprio messaggio e per poter costruire questa narrazione sovranista da contrapporre al mito disgregante e omicida del globablismo.

Sono particolarmente condivisibili, a nostro avviso, le riflessioni sull’impoliticità del populismo che condannano i grandi partiti populisti ad una sorta di irrilevanza a lungo termine: l’ossessione per il risultato elettorale e la costante disattenzione verso il ceto intellettuale, il mondo culturale, non permettono mai al populismo di “radicarsi” e contrapporsi davvero, nel tempo, ai propri avversari. La collaborazione invece con realtà militanti, come CasaPound, è necessaria perchè, al di là del peso elettorale, occorre costruire una rete di giornali, luoghi di socializzazione, intellettuali, scrittori, saggisti, centri studi affinchè la politica non sia solo “andare alle elezioni”, ma torni ad essere l’arte di difendere i valori di una comunità.

Le riflessioni finali dell’autore in merito al fatto che i costi della globalizzazione stanno arrivando fino al primo mondo sono particolarmente acute ed utili per capire che o il sovranismo si realizza in questa fase o non avremo mai più lo stesso consenso, e lo stesso contesto favorevole. Se dieci anni fa in Occidente a subire i costi della globablizzazione erano solo i lavoratori non qualificati, se cinque anni fa i primi lavoratori qualificati cominciavano a pagare il prezzo della concorrenza globale oggi nessun lavoratore, nessun profilo è davvero al sicuro perchè la concorrenza è totale e continua e qualunque capacità del lavoratore occidentale è replicabile altrove; occorre pertanto lavorare tutti assieme per una alternativa che difenda i propri lavoratori, il proprio sistema di diritti, e questa alternativa non può che essere il sovranismo.

Nicola Mattei

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