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Poste Italiane: prendi la cassa e privatizza

by Filippo Burla
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poste italiane sedeRoma, 29 apr – Il 2014 non é stato un anno felice, dal punto di vista contabile, per Poste Italiane. L’avvento di Francesco Caio alla guida della società ha portato con sé la classica pulizia di bilancio, tradottasi in accantonamenti e svalutazioni che hanno inciso in maniera rilevante sui margini. E’ così che si spiega il ridimensionamento dell’utile, passato dal miliardo del 2013 ai soli 212 milioni dell’esercizio chiuso lo scorso 31 dicembre.

Nonostante i sacrifici -contabili e non- fatti dall’ad, insieme alla presentazione del nuovo piano industriale che prevede un ridimensionamento del sofferente settore del recapito tradizionale, lo Stato non rinuncia alla propria remunerazione. L’assemblea degli azionisti della società, controllata al 100% dal ministero dell’Economia, chiamata ad approvare il bilancio 2014, ha infatti “deliberato il pagamento di un dividendo pari a 250 milioni di euro“. Il ritorno per l’azionista di riferimento sarà dunque superiore all’utile di esercizio, per cui Poste Italiane dovrà attingere alla riserve.

Al ministero arriverà così la stessa remunerazione già percepita lo scorso anno e riferita al 2013. Quando pero’ l’utile netto superava il miliardo di euro. Troppo importanti le esigenze di finanza pubblica, soprattutto dal lato della spesa corrente sempre alla ricerca delle necessarie coperture. La pulizia di bilancio, intrapresa per rendere la società appetibile al mercato, non ha quindi minimamente inficiato la politica dei dividendi. E proprio lo sbarco sul mercato di borsa é l’obiettivo principe del mandato di Caio. La privatizzazione dovrebbe tenersi quest’anno o, al più tardi, entro i primi mesi del 2016.

Più che lecito, giunti a questo punto e vista la scelta condotta dagli azionisti (rectius: dall’unico azionista, il ministero di via XX Settembre) farsi qualche domanda sulla ventura quotazione, che dovrebbe consentire allo Stato di guadagnare meno di 4 miliardi rinunciando al 40% della società dei recapiti. Contemporaneamente, tuttavia, la rinuncia é anche a dividendi che sin qui si sono rivelati essere molto generosi. Con un “di più”: l’incasso dalla vendita é una tantum e verrà usato per ridurre meno di uno zero-virgola-zero l’immenso debito pubblico, mentre le centinaia di milioni annualmente versati nelle casse dell’erario saranno, nella migliore delle ipotesi, almeno dimezzati.

Filippo Burla

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