Roma, 9 feb – L’ultimo libro del giornalista Pierluigi Battista, dedicato al padre fascista e reduce della Rsi, ha incidentalmente riportato d’attualità una leggenda metropolitana dura a morire, soprattutto nell’ambito della destra: quella di Ezra Pound detenuto nel campo di concentramento di Coltano, dove per l’appunto anche il padre dell’editorialista del Corriere della Sera finì dopo la guerra. Esiste del resto una vasta memorialistica piena zeppa di “testimonianze oculari” che vogliono Pound in gabbia a Coltano mentre socializza con i detenuti fascisti repubblicani. Peccato che… non sia vero. Ezra Pound non fu mai internato nei campi di detenzione per prigionieri di guerra, per l’ottima ragione che non era tale. Ma andiamo con ordine.
Coltano è una piccola frazione a sud di Pisa. Dopo la guerra è qui che gli americani edificarono i Prisoner of War Encampments 336, 337 e 338. Il primo era destinato ai prigionieri di guerra tedeschi, il secondo ai soli italiani, il terzo ai tedeschi e ai collaborazionisti stranieri, principalmente sovietici. In quello per italiani, finirono ben 32.000 ex militari della Rsi, tra cui molti personaggi destinati a un futuro nel mondo dello spettacolo e della cultura allora certo insospettabile. Ancora nel 2011, della struttura si tornò a parlare a causa dell’idea dell’allora ministro degli Interni Roberto Maroni, che nell’area voleva stipare 500 profughi provenienti dalla Libia. Ora, mentre le ex camicie nere cercavano di sopravvivere alla dura realtà del campo di concentramento, che fine aveva fatto Ezra Pound, se non era lì con loro?
Era poco lontano, in verità, sempre nei dintorni di Pisa, ma stavolta a nord della città toscana, a Metato, al Disciplinary Training Center of the Mediterranean Theater of operations, destinato ai prigionieri americani. Cittadino statunitense accusato di tradimento, Ezra Pound non poteva finire in mezzo ai prigionieri fascisti. Finì invece in un campo di disciplina insieme ai suoi connazionali, fra militari semi-analfabeti, spesso di colore, per lo più accusati di furti o stupri. Pound rimase a Metato dal 24 maggio al 16 novembre. Vi era giunto in seguito all’arresto, avvenuto a Rapallo il 3 maggio, per mano di due partigiani, due ex fascisti passati dall’altra parte che erano in cerca di taglie da riscuotere. Fu in quell’occasione che, prendendo un libro di Confucio e un dizionario di cinese, Pound avrebbe pronunciato la sua famosa frase “Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o non vale lui, o non valgono le sue idee”. Prima di andare si portò le mani al collo, scherzando con la padrona di casa sul fatto che l’avrebbero impiccato. I due ceffi consegnarono Pound a un militare americano, che lo portò a un comando alleato della zona, non è chiaro se fu quello di Zoagli, di Lavagna, o di Chiavari, poi venne trasferito a Genova presso la locale sezione del CIC (Counter Intelligence Centee), il controspionaggio americano.
Il 21 maggio, il maresciallo Alexander informò il ministero della Guerra degli Stati Uniti che Ezra Pound, il “traditore”, era in sua custodia. Pochi giorni dopo giunsero le disposizioni: trasferire subito il prigioniero al DTC di Metato. “Non accordate alcun trattamento preferenziale”, si premuravano da Washington. Ed è così che, il 24 maggio, Pound fu portato, ammanettato a una jeep americana, al campo di Metato, dove l’avrebbe atteso la “gabbia di gorilla”, una cella a cielo aperto, senza servizi igienici, illuminata giorno e notte. Nessun trattamento preferenziale sarebbe stato accordato, in effetti.
Adriano Scianca