Roma, 2 giu – Il 2 Giugno del 1946 si tenne il referendum per la scelta dell’assetto dello Stato che vedeva contrapposta la forma monarchica e quella repubblica. Tutto ciò avvenne in un Italia appena uscita da una dura guerra, anche civile, che l’aveva vista sconfitta, e ancora occupata dagli eserciti stranieri.
Fu questa la prima consultazione elettorale svolta con il suffragio universale in cui tutti gli italiani che avessero raggiunto i famosi 21 anni per la giovane età potevano votare, comprese le donne. Il risultato ufficiale, e la forma di stato che da allora ad oggi contraddistingue l’Italia, fu la vittoria della Repubblica.
Ciò che forse è rimasto un po’ sottaciuto è stato il determinante contributo alla vittoria repubblicana svolto dagli italiani che si sentivano fascisti, o comunque ancora legati, per via ideale o per servizio reso, al regime appena sconfitto dalla guerra.
Prima però di argomentare meglio questa interpretazione non possiamo non soffermarci sul fatto che quel referendum di 69 anni fa conteneva in sé dei grossi vizi, per non dire irregolarità, in termini di partecipazione, in termini legali ed in termini formali.
In primis non furono chiamati al voto gli abitanti della provincia di Trieste, della Venezia Giulia e di tutte le provincie della Dalmazia, come Pola e Zara, della maggioranza degli abitanti delle provincie di Bolzano. Inoltre non poterono esprimersi molti prigionieri italiani ancora nei campi di prigionia così come gli italiani che risiedevano nelle oramai ex colonie come la Libia, l’Eritrea e l’Abissinia. Si stima in circa 3 milioni coloro che non poterono prendere parte al voto. Un numero abbastanza ampio sui 28 milioni di aventi diritto.
Dal punto di vista legale, le regole del referendum furono pubblicate nel decreto luogotenenziale numero 98 del 16 marzo 1946, in cui veniva utilizzata l’espressione “maggioranza dei votanti” come necessaria per ottenere la vittoria. Ciò significava che anche schede bianche o nulle sarebbero dovute essere conteggiate nel totale delle schede, e uno dei due sistemi avrebbe vinto se avesse ottenuto un voto in più rispetto alla somma delle schede nulle o bianche e delle schede votanti per l’altro sistema. Cosa che però non avvenne perché le schede nulle o bianche non furono conteggiate e, assieme alle altre, distrutte subito.
Inoltre accaddero vari vizi di forma. Le schede furono prontamente bruciate o distrutte immediatamente dopo la conta. I risultati ufficiali tardarono parecchi giorni ad arrivare. Il governo proclamò il risultato favorevole alla Repubblica prima della proclamazione ufficiale da parte della corte di Cassazione.
C’è anche da sottolineare come questi difetti non necessariamente avrebbero potuto modificare il risultato elettorale in favore della Monarchia. Ma alimentarono, e continuano a farlo, più di un sospetto di regolarità. Di certo il governo ed il nuovo stato non diedero prova di totale correttezza e professionalità, contribuendo a non estinguere le proteste monarchiche.
Alla fine, citando le cifre ufficiali, la Repubblica vinse con il 54,27% dei voti validi, ossia 12.718.641 voti, mentre la Monarchia, con il 45,73% dei voti validi, ottenne 10.718.502 voti.
L’analisi del voto denotò da subito una evidente spaccatura tra un nord “repubblicano” ed un sud “monarchico”. Con alcune eccezioni. Essendo l’Italia divisa allora in provincie, e senza che alcuno sentisse l’impellente necessità di creare regioni che oggi sembrano fondamentali per il “benessere” (termine retorico) dello stato, tutte quelle a nord di Roma diedero la maggioranza alla repubblica, tranne Asti, Cuneo, Bergamo, Padova e Rieti; mentre in tutte quelle a sud dell’Urbe prevalse la monarchia, tranne Littoria, Pescara, Teramo, Trapani e la stessa Roma. Tutti i dati ufficiali del referendum si possono consultare sul sito del ministero dell’Interno , all’“Archivio storico delle elezioni”.
Che ruolo svolsero in ciò i fascisti? E che ruolo svolse la Repubblica Sociale Italiana? Possiamo dire che una parte di loro traghettarono i loro voti verso la repubblica? La Repubblica Sociale Italiana potrebbe aver convinto una parte degli italiani a votare repubblicano?
Nonostante l’argomento non sia stato ancora analizzato a fondo, e di certo una tesi del genere non farebbe affatto piacere ai sostenitori antifascisti della repubblica, non possiamo escludere l’idea che, soprattutto nelle regioni del nord, i fascisti furono per la continuazione del sistema repubblicano.
E’ altresì molto probabile che alcune tra le personalità di maggior spicco della RSI avessero imbastito una serie di accordi con entrambi gli schieramenti per ottenere una qualche forma di distensione. A tal proposito è interessante riportare le testimonianza di Pino Romualdi, vicesegretario nazionale del Partito Fascista Repubblicato che sarà uno dei fondatori del Movimento Sociale Italiano. Ricorda infatti Romualdi, nel volume L’ora di Catilina, che “a me non interessava che nella prova elettorale del 2 giugno 1946 avesse vinto la monarchia o la repubblica, ma che l’una e l’altra, vincendo, avessero compreso la necessità di concedere una amnistia, la più vasta possibile…”.
Non possiamo parlare tuttavia di una totale coincidenza tra fascisti e voto repubblicano. Forse coloro che vissero al nord, sotto il governo della RSI, vollero continuare con questo assetto istituzionale. Dalle testimonianze emerge che non vi fu una divisione così netta. Anche tra i reduci della RSI alcuni votarono per la monarchia, nonostante tutto, per mantenere un “argine” allo strapotere comunista che allora sembrava inarrestabile.
Risulta esemplificativa la testimonianza di Enzo Erra, reduce della RSI che sarà tra i fondatori del MSI, che nel libro di Nicola Rao Neofascisti ricorda: “Sicuramente Romualdi fece votare per la Repubblica. Ma io, come moltissimi altri camerati, feci votare per la Monarchia. Ero convinto che eliminare dal nostro ordinamento anche l’ultimo riferimento ideale sarebbe stato pericoloso”.
Quali prove possiamo addurre per sostenere un voto fascista verso la repubblica?
In primis la forte avversione per l’istituzione monarchica, per aver promosso il colpo di stato del 25 luglio ’43 e per la fuga del sovrano da Roma, rimaneva un grosso vulnus che era lungi dall’essere superato.
Un altro piccolo esempio potrebbe provenire dalla provincia di Littoria, creata dal regime bonificando zone malariche dell’agro pontino, che era abitata da italiani che avevano ricevuto finalmente casa e terra. Essendo rimasti riconoscenti soprattutto a Mussolini, è probabile che abbiamo votato per la repubblica in omaggio alla RSI. E su questa popea italiana un affresco di tutto rispetto è offerto dal romanzo di Antonio Pennacchi “Canale Mussolini”.
Infine, e sarà una tesi che farà molto discutere, non è da escludere una qualche forma di accordo sottobanco tra fascisti e nuovo governo. Questo fatto potrebbe spiegare come mai uno dei primi atti dell’esecutivo, firmato addirittura dall’allora ministro della Giustizia Palmiro Togliatti il 22 giugno 1946, sia stato quello di emanare una amnistia di cui beneficeranno anche i fascisti.
Mentre il Partito Socialista e il Partito d’Azione erano fortemente contrari ad ogni ipotesi di accordo con i fascisti, il PCI si mostrò infatti più accomodante, temendo forse che quella massa ancora numerosa di fascisti sconfitti e desiderosi di vendetta avrebbero potuto mostrare tutto il loro potenziale in uno scontro tra repubblicani e monarchici qualora il risultato del voto non fosse stato accettato. Ricorda ancora Romualdi nel volume di Adalberto Baldoni La Destra in Italia. 1945-1969: “Il progetto di Amnistia portato da noi ai rappresentanti dei partiti e sui quali discussero poi i responsabili del governo, era stato preparato da Mario Jannelli, un ex sottosegretario di Mussolini, che se ne stava rifugiato a San Giovanni in Laterano”.
Formulando una ulteriore ipotesi a sostegno della tesi non sarebbe nemmeno da escludere che la buona amministrazione repubblicana della RSI abbia avuto un ruolo nelle future scelte elettorali. Nonostante la guerra, i bombardamenti alleati ed il progressivo erodersi del territorio governato, il governo repubblicano manifestò una corretta ed oculata gestione economica con un debito pubblico mantenuto basso, pensioni e stipendi pagati fino all’ultimo giorno, un’inflazione controllata anche grazie al mantenimento di una moneta nazionale e sovrana, rispetto alle amlire che tanti problemi avevano provocato al sud, e, da ultimo ma non per ultimo, istante sociali anche molto avanzate, ma non attuate fino in fondo. Ciò potrebbe aver convinto una parte più o meno rilevante degli abitanti del nord Italia ad optare per la continuità repubblicana.
La repubblica 69 anni fa vinse anche grazie ai fascisti e alla RSI? Probabile.
Lorenzo Mosca